Banca Dati "Nuovo Rinascimento" http://www.nuovorinascimento.org immesso in rete il 16 ottobre 1995 Ragguaglio della Rappresentazione della Corte dei Ferraiuoli (Siena, 1569 [1570]) a cura di Laura Riccò /c. 591r/ Raguaglio delle cose da ripresentarsi dalla radunanza de' Ferraiuoli [1] Finita la cena [alla quale per deliberazione della Corte furono invitate 20 gentildonne, et altre ancora per autorità data al padrone della casa], mentre si cominciarà a danzare, deverà udirsi un suono di tromba nel cortile et poco dopo comparirà in sala uno il quale dirà che un grande gentilhuomo straniero desidera di parlare al Principe de' Ferraiuoli: commetterà allhora egli che si faccia saglire et manderà a riceverlo. [2] Si vedranno poi comparire diece huomini in compagnia d'un personaggio in habito straniero, qual personaggio, giunto in sala, rivoltosi al Principe de' Ferraiuoli, dirà d'essere Ambasciatore del Principe de' Cavalieri Indomiti, radunati nell'Isola d'Herma, et domandarà in presenzia di quelle gentildonne publica udienza, et concessali sarà posto a sedere in luogo alquanto riguardevole et datogli licenza di parlare. [3] Il quale dirà in somma che il suo principe, per chiarissima fama il valore della Corte de' Ferraiuoli, quale non di meno intendeva havere alcune leggi et costumi molto differenti da alcune leggi et costumi de' suoi Cavalieri, quantunque non meno gli uni che gli altri aspirassero alla virtù et alla vera felicità, s'era disposto di mandarlo quasi ad ammonire che annullasse tali leggi et costumi et perciò egli, che a tale effetto era mandato, havendo inteso che per buona sorte quel giorno che egli era giunto si celebrava in quel luogo l'annovale dell'origine della Corte de' Ferraiuoli, era ivi venuto, sperando d'havere ottima commodità di essequire la volontà del suo Signore, et perciò da parte del Principe suo lo pregava a non volere scemare la gloria della Corte sua et metterle davanti uno evidentissimo impedimento per acquistar la virtù con quella legge che si sapea c'haveano i suoi Cortigiani di devere haver nelle azzioni loro principale riguardo d'honorare et servire le nobili et virtuose donne, e con quello homai invecchiato fra loro et tenuto per santissimo costume di seguire d'amare una donna, quantunque potessero rendersi certissimi di non essere riamati da lei. [4] Et se questi preghi non bastavano, havea /c. 591v/ il suo Principe mandati seco due i quali contra ciascuno de' suoi Cortigiani sosterrebbero con ragioni chiarissime la predetta legge e 'l predetto costume deversi spegnere in ogni modo et colui non esser vero cavaliero che si mettesse a servir donna, et tanto più chi servisse a donna che non prezzasse la servitù sua: et facendo questi due rimanere confusi i suoi Cortigiani voleva che egli allhora fossi obligato, togliendo del tutto via le prime usanze et costituzioni della Corte sua, a stabilirne dell'altre ad esse in tutto contrarie, promettendo che il suo Principe farà il medesimo ogni volta che i suoi restino perdenti: di che produrrà lettera di credenza. [5] Il Principe de' Ferraiuoli, udito questo, renderà a nome suo et della Corte molte grazie al Principe di que' Cavalieri che si sia degnato di mandarli ambascieria, et mostrando gran desiderio dell'honor suo dirà di meravigliarsi che egli insieme con i suoi sia in sì grave errore di riputare sciocche et cattive quelle usanze et leggi, che se non vero debito d'huomo honorato (come egli tiene), almeno vera cortesia di cavaliero risguardono. [6] Dirà poi d'accettare l'offerta fattagli del disputare da qual de' due lati stia la ragione con le condizzioni proposte: et così nominerà due de' suoi, de' quali il primo sosterrà contra uno degli aversari la predetta legge et il secondo contra l'altro il predetto costume, et dalli adversarii si proporranno le loro ragioni rispondendosi per la parte de' Ferraiuoli così nella prima come nella seconda conclusione, et quando parrà si sia detto a bastanza, in bel modo dal Principe de' Ferraiuoli et dallo Ambasciatore si porrà fine alla tenzone senza chiaro segno di chi rimanga perdente. [7] Finalmente rivoltosi il Principe de' Ferraiuoli allo Ambasciatore, gli domanderà qual frutto s'habbia da cavare di que' ragionamenti se niuna delle parti fa segno di confessarsi vinta: risponderà l'Ambasciatore che il suo Principe a tutto questo havea molto bene pensato et provisto, et però mandati seco quattro Cavalieri, i quali, non determinandosi la questione per via di /c. 592r/ parole, dovessero con l'arme sostenere contra i Ferraiuoli amendue le querele con le condizzioni dette di sopra quando l'una, o l'altra parte rimanga perdente. [8] Accettarassi dal Principe de' Ferraiuoli il partito et eleggeransi quattro de' suoi per combattere, dichiarandosi con che armi s'habbia da combattere, pertenendo a lui, come a richiesto, l'elezzione delle armi. [9] Verrassi all'abbattimento con quelle circostanze che ne' veri duelli si costumano et combatterassi con cavalletti finti ad un per uno, a due per due et a quattro a quattro, con dardi, lancie et stoccho. [10] Mentre che tutti insieme combatteranno comparirà d'improviso dal cielo la dea del giusto detta Themis, quale sgridando quei cavalieri dirà non esser dovere il rimettere la determinazione di querele tanto importanti alla fallace pruova delle armi, et maggiormente potendosi sapere in altro modo la verità, sì come potranno tosto da lei, mandata da Giove per tale effetto. Questa darà la sentenza sopra le querele dicendo assolutamente nella prima stare la ragione dalla banda de' Ferraiuoli, ma nella seconda havere ragione quegli altri Cavalieri stranieri. Udita la sentenza il Principe de' Ferraiuoli essorterà i suoi ad osservarla, et dall'Ambasciatore forestiero se ne prometterà altresì l'osservanza, et porrassi fine allo intertenimento seguendosi di danzare secondo l'usanze. [11] In quello spazio che i cavalieri s'anderanno ad armare, comparirà un carro tirato da una Aquila, ucello di Giove, il quale havrà per auriga un Ganimede, dentro al quale saranno cinque deità: cioè Apollo, Marte, Mercurio, Venere et Minerva. [12] Il Ganimede canterà stanze per le quali dirà che quelle cinque deità erano venute in cielo in controversia non piccola a chi di loro pertenesse la protezzione de' Ferraiuoli, parendo a Marte che per la professione dell'armi a lui convenisse, ad Apollo per la poesia, a Mercurio per l'eloquenza, a Venere per la costanza di vero amante, a Minerva per lo studio delle scienze; [13] et che finalmente se n'erano ite per la decisione a Giove, dal quale haveano inteso /c. 592v/ per sua sentenza che non ad alcuna di loro pertenea in particolare, ma sì bene a tutte loro insieme per essere quelle professioni equalmente amate et seguite da' Ferraiuoli, ma molto più et in modo più eccellente a quelle honestissime gentildonne ivi radunate, dal volgere de' begli occhi delle quali si cagionava che essi in tutte quelle professioni fossero riguardevoli, et che perciò unitamente erano venute a raccomandarne loro la protezzione, pregandole anche che in quel giorno nel quale si facea memoria del felice principio della Corte devessero con lieti balli et canti fare segno d'allegrezza, et che per questo gli era stato da Giove concesso il suo carro insieme con l'auriga et con il suo augello che a loro le conducessero per isporre loro quanto si è narrato. [14] Cantate le dette stanze con madrigali in musica dalle deità, si confermerà quanto dal Ganimende sarà stato detto, et partirannosi seguendosi di danzare fin che compariranno i cavalieri per combattere. [15] [L'Ambasciatore fu il Signor Giovanbenedetto Boninsegni accompagnato dall'infrascritti Signori: cioè il Signor Niccolò Brogioni Cavaliere di Santo Stefano, il Signor Torquato Colombini Cavaliere di Santo Stefano, il Signor Bellisario Bolgherini, il Signor Ascanio Borghesi, il Signor Scipione Turamini, il Signor Fantozzo, il Signor Fulvio Bolgherini, il Signor Giovanni Pecci, il Signor Alessandro Fantoni et Girolamo Cerretani con habiti ricchi e stranieri] [16] Parole dello AMBASCIATORE: - La chiarissima fama, Principe nobile et valoroso, che di voi et della vostra honoratissima Corte è pervenuta alle orecchie del Principe mio Signore et de' suoi cavalieri, sì come ha mossi tutti a riverenza et amore verso così bella et rara adunanza, così gli ha tutti rivolti a considerare diligentemente tutte le azzioni che di essa udite si sono et a procurare con ogni studio d'haver notizia et delle leggi et degli ordini suoi per potere per aventura imprendere per sì fatta via alcune cose che utili per l'honore et per la grandezza della compagnia loro essere potessero, perciò che, per quello che comprender si può, non meno gli uni che gli altri havete per fine l'acquistar virtù et vero honore, et per conseguenza ad un medesimo segno havete amenduni indirizzati i pensieri et le operazioni vostre. [17] Hanno cercando trovato gli effetti di questa vostra nobilissima Corte non differenti dal chiaro nome che di lei udito s'era fuor solamente che in una cosa, /c. 593r/ la quale ha generato in essi et dolore et meraviglia insieme. Perciò che molto si meravigliano della servitù et della sommessione che i vostri Cortigiani et per legge et per usanza fanno et mantengono verso le donne, dalle quali essi hanno per lo migliore eletto di vivere più lontano che si può. [18] Dolgonsi poi fieramente veggiendo assai chiaro di quanto danno ciò sia per essere alla Corte vostra et sapendo che per acquistar virtù et honore questo altro non è che per volere caminare mettersi i ceppi a' piedi. Laonde ha il Principe mio Signore deliberato di mandar me, come vedete, a pregarvi et confortarvi a nome suo, sì come io fo con tutto il cuore, che leviate via dalla Corte vostra così fatte leggi et usanze. [19] Et io arrivato che fui in questa famosa città, udendo che in questo luogo in presenza di molte gentilissime donne si celebrava hoggi l'annovale del nascimento et della prima origine della Corte de' Ferraiuoli, senza altro indugio ho voluto qui venire a mettere ad effetto l'ambascieria mia, perciò che, se voi come discreto et savio principe consentirete in questa publica et honorata radunanza a questi prieghi et a questi conforti del mio Signore, haveranno i vostri Cortigiani legittima et manifesta cagione di levarsi dal servigio di queste donne et esse havendo udita la volontà vostra non potranno mai dolersi di loro. Et questo tanto maggiormente quanto che udiranno forse le ragioni che a ciò volere vi deono spignere et isforzare. [20] Conciosiacosa che il Principe mio Signore habbia mandati con esso meco due de' suoi Cavalieri che sono qui presenti, li quali per sua commissione promettono, bisognando, contra ciascuno della Corte vostra sostenere con ragioni evidentissime doversi da voi annullare quella vostra legge d'havere principale risguardo nelle azzioni vostre d'honorare le nobili et virtuose donne, o almeno spegnersi del tutto quella homai vecchia usanza de' vostri Cortigiani di servire a donne le quali non riconoscono punto la servitù loro; et che colui il quale si mette /c. 593v/ a servire a qual si voglia donna per amore fa cosa indegna di cavaliere et di vero cortigiano. Et posto che a cavaliere et a vero cortigiano fosse lecito il fare amorosa servitù alle donne, che fa cosa indegna di cavaliere et di vero cortigiano colui il quale serve lungo tempo a donna dalla quale non possa ragionevolmente sperare ricompensa et riconoscimento della servitù sua. [21] Con queste condizioni: che, se i vostri Cortigiani rimangono perdenti nella disputa, voi siate tenuto ad annullare et spegnere del tutto della Corte vostra così fatta legge et usanza et ad introdurre et stabilire delle altre a quelle dirittamente contrarie; se anchora, di che non dubitiamo punto, i nostri due Cavalieri rimarranno perdenti, allhora il Principe mio Signore sia tenuto a fare osservare alli suoi la predetta costituzione et costume vostro, togliendo via interamente ciò che da lui et da' suoi Cavalieri fosse stato infino a qui statuito et costumato in contrario. Della fede che mi si debba da voi, meritissimo Principe, prestare in questo fatto, et dell'autorità sopra ciò dal Principe mio Signore concedutami, eccovene sue proprie lettere che certissimo ve ne potranno fare -. [22] LETTERA DI CREDENZA. [Fu letta dal Signor Segretario della Corte Fausto Sozzini]: Al molto nobile et valoroso Principe della Corte de' Ferraiuoli sempre osservandissimo Il desiderio grande che habbiamo del ben vostro et della vostra Corte pel molto amore che debitamente vi portiamo, ci ha spinti a mandarvi questo Ambasciatore nostro con piena et libera autorità di trattare con esso voi a nostro nome di alcune cose molto importanti. Vi preghiamo dunque che diate alle sue parole quella medesima fede che alle nostre proprie fareste. Nell'Isola Herma Come minor fratello. Il Principe de' Cavalieri Indomiti. /c. 596r/ [23] Risposta del PRINCIPE DE' FERRAIUOLI [Il Signor Clemente Piccolomini]: - La molta cortesia, honorato Ambasciatore, che dal Principe vostro usata ci viene et la gran volontà che habbiamo di fare apparere la dirittura et bontà delle leggi et delle usanze della nostra Corte, et non già dubbio alcuno che noi habbiamo d'esse, sarà cagione che noi hoggi, accettando ciò che da voi a nome del Principe vostro ci è proferto et proposto, ci contenteremo che si mettano in disputa gli ordini et i costumi nostri, con fermissima speranza di far conoscere a quel cortese Principe et a' suoi nobili Cavalieri l'error loro in questa parte, et per conseguente d'ottenere, secondo le condizioni da voi proposte, che s'ammendino, pagando, per sì fatta maniera che migliore imaginare non possiamo, l'obligo che tegniamo alla gentilezza loro. [24] Bene è vero che non contra ciascuno della Corte nostra, ma contra due soli Cortigiani nostri vogliamo che disputino i due vostri Cavalieri, de' quali l'uno, se così pare a voi, potrà proporre tutto quello per che giudichi doversi annullare quella nostra legge d'havere nelle azzioni nostre principale risguardo d'honorare et di servire alle nobili et virtuose donne, et l'altro poi tutto quello per che giudichi doversi spegnere del tutto quella usanza de' nostri Cortigiani di seguire lungo tempo di far servitù et d'amar donna, benché da essa non possa ragionevolmente sperare ricompensa dell'amore et della servitù sua. [25] Al primo, inanzi che l'altro dica cosa alcuna, risponderà il nostro Cortigiano messer Fortunio Martini Cavaliere. Al secondo poi vogliamo che risponda il nostro messer Orazio Azzoni. Hora, se quello che detto habbiamo è conforme al giudicio et all'opinione vostra, potrassi dar principio a questa battaglia -. [26] Risposta dello AMBASCIATORE: - A me, valoroso Principe, pare che non sia da fare altrimenti che secondo che voi molto giudiciosamente divisato havete, et acciò che si possa incominciare /c. 596v/ a vedere da qual banda stia la ragione, io, a nome del Principe de' Cavalieri Indomiti mio Signore, per l'autorità da lui ampiamente concedutami, prometto inviolabilmente a voi, honoratissimo Principe della Corte de' Ferraiuoli, che se i nostri due Cavalieri nella presente disputa rimangono perdenti, egli insieme co' suoi Cavalieri introdurrà et osserverà per l'avenire in questa parte leggi et costumi del tutto a' vostri simiglianti et spegnerà et annullerà tutto quello che per lo passato ad essi fossi stato contrario -. [27] Risposta del PRINCIPE DE' FERRAIUOLI: - Et io prometto, a fede di principe et di cavaliere, il medesimo dalla parte nostra, ogni volta che i nostri due Cortigiani sieno superati et vinti nella presente tenzone -. PRINCIPIO DE LA DISPUTA [28] IL CAVALIERE STRANIERO [Che fu il Signor Bellisario Bolgherini]: - Conosco, gentilissimo Signor Cavaliere, ch'io prendo un durissimo campo di battaglia a cercar di svellervi da l'animo un'opinione invecchiata e di già ricevuta da voi per santissima, quale è quella da le leggi vostre impostavi che in tutte l'azzioni deviate haver principal riguardo d'honorare e servire alle nobili e virtuose donne. Tanto più che davanti a quelle ha da essere il ragionamento nostro, dove potrà parere ad alcuno che inverso di me l'habbia da ritrovar in simil fatto più tosto giudici irati che altrimenti; ma in ogni cosa l'ho per tanto giudiciose che non si debbiano lasciare ingannare da l'interesse, e son certo che più haveranno caro d'udire il vero per la bocca mia, ancor che non così in lor favore, che le false adulazioni per quella di qual si voglia altro, essendo che la verità è cosa tanto amabile che ciascun la desidera et vie più d'ogni altra cosa amica, come quella che, cavandoci da le tenebre, ci conduce alla luce, et è quel che bene e meritamente disse l'Homero de' filosofi Platone: certissima guida degl'huomini e degli Iddei a tutti i beni. [29] E invero qual più gloriosa cosa si trova di lei? /c. 597r/ Questa lega con fermissimo vincolo insieme le virtù, non altrimenti che la medicina componga gl'humori del corpo infra di loro traendone i superflui e tristi; ella scaccia l'odio dal mondo e l'illumina, conserva la benevolenza, destruggie la bugia, illustra finalmente il tutto dandoli moto, anima e concento mirabilissimo. Laonde il comprender questo con il desiderio che ho di ubbidire al Principe mio e insieme di giovarvi, togliendovi dal petto un'oppinion così sinistra, fa che arditamente entro a combattere, né mi spaventa punto la fama del saper vostro, rendendomi sicuro che, quanto più uno intende, debbia maggiormente lasciarsi persuadere da le ragioni. [30] Vengo dunque brevemente al fatto, sperando di riportar di tal pugna fermissima e gloriosissima vittoria, e dico esser cosa indegna di cavaliere honorato il servir qual si voglia donna, ancor che nobile e virtuosa, provandolo con ragioni (se non m'inganno) efficacissime. [31] Primieramente considero che, essendo l'huomo, come tutte l'altre cose, creato da Dio grandissimo per il fine quale è la beatitudine, o la felicità che dir la vogliamo, deve cercar con ogni studio per lui possibile di conseguirlo, e perché egli o non si può ottenere per mezzo de la servitù fatta a donna, o meglio in altro modo s'acquista, di qui è che non deve una tal servitù haversi per primo e principale oggietto, anzi è cosa indegna di cavaliere e d'animo nobile. [31] Oltre di questo, il sottoporsi in qual si voglia modo nel cavaliere d'honore dimostra viltà, e la servitù non è altro che sommissione con obbidienza a colui o colei che prendiamo a servire: qual viltà quanto sia contraria ad ogni azzione cavalleresca chi non vede? Sì che a ragione da lui doverà fuggirsi la servitù che ad altro lo renda soggietto che al /c. 597v/ giusto et a l'honesto. [32] Aggiungesi che ei si rende schiavo a cosa di lui assai men nobile, e tale (sia detta con pace sua) è la donna, che a comparazion de l'huomo è come la luna al sole e che senz'esso resterebbe al tutto priva di luce, e sol per lui resplende. [33] La servitù poi che farle si può non vedo che possa esser altra che amorosa, e questa deveria non tanto da honorato cavaliero ma da ciaschuno esser fuggito, per rendere gli animi nostri effeminati e molli, pieni sempre d'atrocissimi travagli, retraendoli da la felicità loro propria, ultimo et vero fine. [34] Crederò che quanto ho detto basti per provare l'oppinion mia, et aspetto volentieri d'intendere quel che sopra ciò vorrete rispondere, desideroso oltre a modo di trovare et abbracciare quella tanto da me poco fa lodata verità -. [35] IL CAVALIERE FERRAIUOLO [Il Signor Cavaliere Martini]: - Poiché vi vedo così amatore del vero, pensarò d'haver a durar poca fatica a persuadervelo, o per dir meglio che da voi medesimo lo conoscerete benissimo, tolti che saranno da gli impedimenti vostri. Hora, lasciando di rispondere alle lodi che mi date, quali meritamente ritornano in voi, confidando ne la ragione che sta dalla banda nostra e nel favor che del volger de begl'occhi di queste divinissime donne, che (lor mercé) presenti sono al nostro ragionamento, mi si porge, e molto più di quella che governa e reggie ogni mio pensiero, indirizzandolo alla virtù che tiene in lei perpetuo albergo, mi sforzarò di tor via le ragioni da voi addotte contra di loro, e se però prima mi farete favore, per prova de l'intenzion vostra, di mostrarmi che la felicità non si possa acquistare per la servitù fatta a donna nobile e virtuosa, essendo che pur disse il Poeta Toscano parlando della sua madonna Laura: [36] Sì come eterna vita è veder Dio, né più si spera, né veder più lice, così me, donna, il voi veder felice fa in questo frale e breve viver mio. /c. 598r/ [37] Di poi mi farete capace che miglior mezzo habbiamo per ottenerla, e quale, sì come anco che ogni servitù debbia fuggirsi dal cavaliere honorato per demostrare (come dite voi) viltà, avvenga che io non tengo, né penso che altri tenga, che servendosi a donna virtuosa e nobile (quali sopra tutte le altre sono quelle a chi servano continuamente i Ferraiuoli) sia altro che servire al giusto e a l'honesto, né di tal servitù (come ben disse quel rarissimo spirto de l'Ariosto) ci doviam doler già mai, e le parole sue son queste: [38] Che chi si trova in degno laccio preso, se ben di sé vede sua donna schiva (e quel che segue), pur ch'altamente habbia locato il core pianger non dee, se ben languisce e more. Pianger dee quel che già sia fatto servo di due vaghi occhi e d'una bella treccia sotto cui si nasconda un cor protervo, che poco puro habbia con molta feccia. [39] Che poi chi serve a donna serva a cosa di lui assai men nobile, onde ne merti biasmo, questo com'io lo tengo per falzissimo così desidero che provato mi sia. Né mi muove punto quella vostra comparazione della donna alla luna e de l'homo al sole, vedendo tuttavia che da' poeti, detti da Platone interpreti della divina mente, ella, e non l'huomo, è assomigliata al bel pianeta solare per i nobilissimi e sopra naturali effetti che in noi produce. [40] E venendo finalmente alla vostra ultima ragione (concedendovi per hora che alle donne non si possa far altra servitù che amorosa), di grazia provatemi che Amore sia così mala bestia come lo fate, che dove sempre l'ho tenuto per signor amabilissimo, e però volentieri me li son reso soggetto, cercarò (se me lo persuaderete) di fuggirlo tanto quanto io l'ho seguito -. [41] CAVALIERE ESTRANEO: - Perché troppo in lungo ce n'anderemo se volessemo sempre respondere l'uno a l'altro nelle cerimonie, né ci avanzerebbe forse tempo /c. 598v/ per il discorso che habbiamo per le mani, verrò con quella maggior brevità che sarà possibile a provarvi quanto ho ditto. [42] E intor al primo fondamento ove affermo che la beatitudine, nobilissimo fin de l'huomo, non si può acquistare per servitù fatta a donna, dico che, essendo essa una cosa stabile e ferma, a che acconsentono unitamente tutti i savi che ne han trattato, non è dubbio che non potrà acquistarsi per il mezzo della femmina, qual ancor per il testimonio del vostro Petrarca, di lei tanto affezzionato, "è cosa mobil per natura". [43] Per il che ben disse l'accorto Sanazzaro in una delle sue bellissime egloghe pastorali: Ne l'onde solca e ne l'arena semina, e 'l vago vento spera in rete accogliere chi sue speranze pone in cuor di femina. [44] Né mi dà molta noia quel che in altro luogo allegato da voi disse il Petrarca, perché ivi, come anco in molti altri, vinto da amore, "che spesso occhio ben san fa veder torto", disse quel che in verità si può negare, vedendo che è pur troppo ben grande iperbole voler assimigliar la vision de la donna a quella di Iddio, ma che per altri mezzi meglio si possa acquistar la felicità, questo è chiarissimo, o sia contemplativa, o attiva. [45] Perché se della contemplativa intender vorremo, non è dubbio che meglio s'acquisterà con l'aiuto della filosofia, per mezzo della contemplazione di questa bella macchina de l'universo e particularmente de' cieli che narrano continuamente la gloria di chi gli muove. [46] Se de l'attiva, essendo, sì come è invero, fondata ne l'operazioni secondo la virtù, non ci fa di bisogno della servitù fatta a donna, potendosi le quattro virtù principali benissimo possedere et esercitare senza lei, il che facilmente si provarebbe con discorrere sopra a ciascuna di esse; ma troppo sarei lungo, e da voi s'intende senza ch'io duri questa fatica. [47] Sarà adunque meglio ch'io venga alla confermazion del resto, dove, lasciando che 'l Maestro di color che sanno dica che la servitù è un valido argumento di viltà, io considero che chi serve si dimostra inferiore a colui a chi egli serve, essendo (per quel ch'io credo) un tal atto passione, governandosi secondo la voluntà de l'agente, che è quel che comanda. E che uno si voglia mostrare inferiore a un altro, non vi /c. 599r/ essendo anco costretto, questo (a mio giudicio) denota espressa viltà, cosa da fuggirsi più d'ogn'altra dal cavaliero il quale supra il tutto si deve esercitare nella fortezza così de l'animo, come del corpo. [48] Che poscia l'huomo sia più nobile de la donna, questo è molto più noto e mi meraviglio che non lo concediate. Volendo (come si dice) dar contra di voi, per parer savio, e qui lasciando andar molte ragioni che ci sarebbon per provarlo (come che l'huomo sia capo e ornamento della donna, il che pur demostra superiorità, che per una donna che vaglia in lettere, in armi, o in altra professione degna di lode ci sono molti huomini che in esse sono eccellenti, che l'huomo è di più robusta complessione e perciò più atto alle fatiche, che la femmina desidera d'esser maschio e non già egli femmmina, e ognun sa che naturalmente ciascuna cosa desidera la sua perfezzione), solo mi fermo in due ragioni, benché da altri conosciute, e dico la natura ha per primaria intenzione di generare l'huomo, adunque egli è più nobile de la donna, atteso che come ministra di Dio non può voler si non il meglio. [49] Oltre di questo si considera et è come materia, e l'huomo come forma et agente: e chi non sa che la forma è di gran lunga più nobile della materia, come quella che gli dà l'essere? Tacerò che Socrate, qual fu da l'oracolo d'Appollo giudicato sapientissimo, tra quelle cose delle quali grandemente ringraziava gli iddii, ei metteva che l'avessero creato huomo e non donna, che alcuni altri gravissimi filosofi hanno dubbitato se si dovea la donna tener per animal ragionevole, mossi forse dal veder che senza la guida de l'huomo mal si può governare, e però leggiadramente da messer Lodovico Ariosto (sempre lui) fu assimigliata a una vite che non sostenuta dal palo se ne va per terra, quando, rivoltosi alle donne (come quel che vedea questa verità), così disse: [50] Non vi vieto per questo, ch'harei torto, che vi lasciate amar, ché senza amante /c. 599v/ sareste come inculta vite in orto che non ha palo ove s'appoggi o piante. [51] Taccio similmente infinite altre ragioni per brevità: come che siano così dannose mercanzie che a chi l'ha convenga, per spacciarle e levarsele da dosso, far loro la dote e pagar chi le piglia, e sopra anco restargliene obligato. [52] Dico bene che la comparazione de la donna alla luna da me fatta resta in piedi benissimo, quel che se ne dichino i poeti adulatori per trarle alle lor voglie assimigliandole al sole, e taccia qui chi lode le dà in Parnaso, che da questi tali (come disse il dotto spirto di Luigi Alemanni) "più di bel che di ver leggendo s'ode". E ne parlano anco per prova, se creder gli dobbiamo. [53] Si vede pur quanto esse sieno sottoposte a' suoi movimenti, almen per il variar de' lor pensieri, ond'è che alcuna volta ti mettono nel colmo de' loro amori, alcuna poco o nulla ti prezzano et altra t'odiano a morte, non altrimenti che faccia la luna della luce sua, che hor la mostra tutta, hor parte, hor più, hor meno e talhor niente. Oltre di questo il veder la gran forza ch'ha la donna in muover l'huomo, detto da' filosofi picciol mondo, sì com'anco il pianeta lunare opera più d'ogni altro in questo maggior mondo inferiore, ce la manifesta in tutto. [54] Ma lasciando questa me ne vengo a l'ultima ragione per prova della quale crederò che basti il mostrarvi la pittura d'Amore: poiché con l'esser dipinto fanciullo assai apertamente si vede che gli è affetto non retto dalla ragione, non possendo quella età usarla. Per la cecità, ch'ei non ha per guida il lume de l'intelletto, per la nudità, la privazion di tutti i beni, per il fuoco nel quale è posto il tormento continuo che porta seco, per l'ali e varietà delle piume loro, la leggierezza e volubilità delli amanti, per la face che egli in man porta, il van desio del quale accende i nostri petti per lor ultima rovina, per la faretra et arco, sempre a ferir pronto, quanto egli sia di continuo intento per nuocerci né gli manchi il modo. [55] Ci sarebbono assai altre ragioni da dire intorno a ciò, per esser questa materia da molti trattata, che le lascio parendomi d'esser pur troppo proceduto in lungo /c. 600r/ e dubbito non haver infastidite l'orecchie di queste honoratissime gentildonne e degl'altri nobilissimi e virtuosissimi ascoltanti, reservandomi a dirne alcune dopo ch'havrò intese l'argute vostre resposte -. [56] CAVALIERE FERRAROLO: - Veramente che anch'io ne dubbito, poiché vi sete mostro così acerbo inimico loro, e mi maraviglio che non v'intervenga come al misero et infelice Orfeo, ma ringraziate Iddio sommamente che queste non son baccanti che si lascino trasportare da l'ira e dal furore se però fuggirete la punizion data per tal'errore altra volta a Stesicoro e a Homero, benché ho speranza non piccola che al fin del nostro ragionamento habbiate a far una disdetta, per la quale (con l'intercession loro) verrete a racquistar la luce persa. E acciò questo habbia da essere, vengo a respondere a quanto havete detto. [57] E dove volendo provare che per la servitù fatta a donna si può acquistar la felicità, per esser ella cosa stabile, e la donna volubile (quel che di provar tentate per l'autorità del Petrarca), doverete avvertire che egli come anco il Senazzaro disse femmina e non donna, e molta differenza si dee fare da femmine e donne. [58] Né si può meglio anco (come dite) acquistar la felicità, così attiva come contemplativa, per altri mezzi: anzi è di grandissimo aiuto a ciò la donna, come cosa proporzionata a l'huomo e che gli dà la scala per alzarsi alla contemplazion di Dio, dove, se volesse in un subbito salire al cielo, cercarebbe di volar senz'ale, andando da uno estremo a l'altro senza mezzo, con non poco rischio di fiaccarsi il collo. [59] Però vedete che di lei intendendo 'l Petrarca, disse in persona d'Amore: Da volar sopra il ciel gl'havea date ali per le cose mortali che son scala al fattor, chi ben l'estima: che mirando ei ben fiso quant'e quali eran virtù in quella sua speranza, /c. 600v/ d'una in altra sembianza potea levarsi in alta cagion prima. [60] Il dottissimo e non mai a bastanza lodato il Reverendissimo Monsignor Claudio Tolomei più chiaramente lo dimostra ne le sue divinissime stanze della scala platonica, dicendo ne la prima, qual solo per hora mi piace di recitarvi, rimettendovi alla lettura dell'altre: [61] Della beltà che Dio larga possiede sì vivo raggio in voi donna riluce, che chi degno di quel vi guarda, vede il vero fonte de l'eterna luce, che da vostra bellezza alzando il piede alla prima infinita si conduce, e, lasciando il terren suo stato rio, l'alma pura volando unisce a Dio. [62] De la felicità poi attiva, pratica, o morale che ci piaccia di nominarla, non vi nego che ottener non si possa senza la servitù fa a donna: ben vi dico che più facilmente e meglio per essa s'acquista. E qual cosa più ci muove alla liberalità? Qual alla fortezza? che solo per occasion di donna poté mostrar la Grecia il valor suo nella guerra troiana. Qual la giustizia? Qual finalmente la prudenza, vero fondamento di tutte l'altre virtù morali? Persuadivi questo: l'esempio di Cimone, che da una donna (mentre che anco dormiva) di rozzo fu fatto gentile, e considerisi in ciò quel che esse san far vegliando. [63] All'altra vostra ragion respondo che non ogni servitù assolutamente denota viltà. Perché chi serve a cosa di lui più nobile ne acquista perfezzion da lei, che se altrimenti avvenisse si farebbe vile la servitù del cavaliero al suo principe. E se gli è lecito anco dirlo: quella che si deve e fassi a Iddio benedetto. [64] Ma di grazia lascian da banda questa parte per resoluta, tanto più che la servitù nostra, per esser voluntaria, non sarà passion come credete, vedendosi che gl'amanti se ne gloriano e chiaman dolci tutti i tormenti che in essa sopportano. [65] Laonde in un luogo disse il Petrarca: E dolce il pianto più ch'altri non crede; et altrove: /c.601r/ Dolci ire, dolci sdegni e dolci paci, dolce mal, dolce affanno e dolce peso (con quel che segue). Ma lo stesso Petrarca non mostra d'essersi dolto della racquistata libertà per la morte di madonna Laura quando dice: Nessun di servitù già mai si dolse, né di morte quant'io di libertate e della vita ch'altri non mi tolse? E invero che il servir cui servi ci fece la natura non è giogo aspro ma soave, e molto più servendosi a signor discreto che la servitù gradisca e prezzi. [66] Però passeremo a l'altro dubbio di maggior importanza, havendo per resoluto che la servitù che fa il men nobile al più nobile non solo non gli rechi infamia, o lo renda men forte, anzi ch'il fuggirla lo demostrarebbe superbo e nemico de la perfezzion sua. Né voglio che diciate qui ch'io dica contra me per parer savio, avvenga ch'io mi darei contra veramente se 'l contrario facessi, poiché per occulta virtù d'Amore non più in me stesso vivo ma in quella ch'è fatta signora e guida d'ogni mio pensiero, ond'è ch'in essa trasformatomi, non più la mia, ma la sua defendo qual non di meno assai meglio da lei, e da ciascuna di queste che presenti sono, saria di gran lunga difesa. [67] E per rispondervi, primieramente vi dico ch'io non m'immagino che queste honorate gentildonne credino che da voi si sia pretermesso alcuna ragione per esaltar l'huomo e deprimer loro, e a quelle che dite di voler lasciar andar vi replico che se l'huomo si è fatto capo de la donna (considerato fuor del matrimonio instituito così da Dio, benché anco in questo gli deve esser compagno e non duro signore) è stata tirrannia e non ragione: perché per il nome della donna (che altro che signora non significa) si mostra che doveria esser il contrario. Ma ciò sarà avvenuto forse per la robustezza della complession de l'huomo, non altrimenti che si scriva di quei primi che presero il dominio sopra l'huomo più perfetto, non vi si concede dicendosi da Aristotele che i molli di carne (e tale è la donna) son de la mente più atti e me' disposti. Né per altro gli è stata data tale, che perché egli potesse meglio servire alla donna ove esse rebellandosi l'ha mal usata. [68] Ma e delle donne si son trovate fortissime al par degl'huomini, e se così in questo, come nelle altre perfezzion lodevoli di lettere e d'armi e d'altro, non arrivasser al numero degl'huomini in assai cose, il che afferma Platone nel quinto della sua Repubblica, e forse anco che quelle /c. 601v/ sien state eccellenti per colpa degli scrittori invidiosi (quel che ben dice l'Ariosto nel principio del canto 37 del suo Furioso) non son giunte per fama a' tempi nostri, che sarebbon per avventura in maggior numero degl'huomini. [69] Che l'huomo sia più ornamento de la donna che essa di lui, non so vedere perché, dicendosi da Pavol, vaso d'elezzione, che la donna è gloria de l'huomo. [70] E venendo alle vostre principali ragioni, desidero che mi mostriate che la natura habbia intento di crear l'huomo più che la donna, sì come la tenga il luogo de la materia e l'huomo quel de la forma, atteso che a me per hora par il contrario, anzi che più tosto che ella sia forma a lui che lui a lei, restando pur sempr'esso l'informato. Se poi Socrate ringraziava li dei del non l'haver fatto donna, non lo faceva conoscendo la perfezzion de l'huomo sopra di lei, ma sì ben quanto che essa sia villanamente trattata e conculcata a torto, il che fa che anco da le donne (quando quel che dite sia vero) si desideri esser maschio. Ma non sapete ancor voi che Eliogabbalo, famosissimo imperatore romano, desideroso procurò di divenir donna? sì che credete che non è sempre vero che l'huomo non desideri alle volte d'esser femmina. [71] Quelli che dubbitorno se ella si dovea chiamar animal ragionevole non lo fecer per altro se non perché in essa vedevano un non so che di divino che superava d'assai la ragion humana. Che le donne, a che voi pur volentier tornate, non sieno a governar né a governarsi, l'esperienza lo demostra falzissimo per molti esempi antichi e moderni, e chiarissimamente per il regno de l'Amazzone che tanti anni così felice durò, retto sol da loro senza aiuto alcun de l'huomo, e si conferma anco da Platone che concesse alle donne il governo de la repubblica. [72] L'autorità de l'Ariosto (de la quale in ciò vi fate così cavaliero) da voi allegata è contra di voi, denotando servitù de l'huomo alla donna anzi che no, poiché ad altro non serve il palo che per utile e obbedienza de la vite, sì che servitele voi ancor volentieri e lasciate che gl'altri le servino, che gli è in vero offizio d'ogni huomo da bene il servire e reverire le donne, non altrimenti che del fuoco lo scaldare e accendere: che se lo farete, inoltre che farete l'obligo vostro, non le trovarete gattiva mercanzia quanto dite, ma bonissima, che havrà anco spaccio a denar contanti e ne sarete pregiato, avvenga che la dote non è perché ella non sia cerca, ma solo ha respetto a' pesi gravissimi del matrimonio, che è pur cosa ragione/c. 602r/vole che la donna habbia di quel del padre e per sostentare insieme i figli comuni con il marito, e anco per posser con quel viver, mancandole. A questo s'aggiugne che anco sono state de le nazioni, e ne sono hoggi, che hanno usato non che 'l padre, ma i mariti le dotino e ne paghino ancora il pregio ai padri e a' fratelli, come di cosa di grandissima stima. [73] La vostra comparazion de la luna alla donna l'accetto solo in quel che fa per me, negandola nel resto: e voi sapete che deboli sono gli argomenti tratti da la similitudine, tanto più che questa vostra, in quel che volete che la serva in biasmo de le donne, sta fuor dei termini, per non haver voi così ben provata la volubilità loro come v'immaginate. [74] Veniamo hora alla difesa d'Amore, ove concedendovisi la fizzion de' pittori seguita da alcun poeta, ma non già dal nostro messer Francesco Petrarca, che disse "cieco non già ma faretrato il veggio", vi si risponde che la sua cecità non denota mancanza di lume de l'intelletto negl'amanti, ma la secretezza che si deve in esso osservare, il che apertamente si vede per non esser naturale, ma causata dal velo che lo benda, sì come anco l'esser dipinto fanciullo non demostra che sia privo di ragione, che così si dipinge da Orfeo, Museo e altri antichi filosofi e poeti, e in particulare da Esiodo ne la sua Teogonia, e da Platone nel Convito è detto il più antico di tutti gli dei. Laonde bisogna dire che ciò significha la sincerità e purità che si ricerca nei veri amanti, quel che similmente per la nudità (che denota mancamento di fraude) si demostra; esser egli nel fuoco e mantenervisi, non tormenti, ma perfezzion significhi, essendo sua proprietà il raffinare l'oro e consumare i metalli imperfetti. [75] L'ali ne mostrano come con il suo aiuto e favore possiam volare al cielo, e per la varietà de' colori, la cognizion di diverse cose che in esso s'acquista; per la face, come egli s'infiamma sempre al bene operare; finalmente la faretra e l'arco pronto sempre a ferire, la sua grandissima potenza. [76] O vedete hora se qui miglior interpretazione so dare alla pittura d'Amore che non havete fatto voi, e venitene con altre ragioni che di pitture e similitudini, perché queste poco valgano! - [77] CAVALIERE STRANIERO: /c. 602v/ - Havete ditto assai a lungo et io con pazientia v'ho ascoltato, e per rispondere ad ogni cosa mi faria di mestieri d'esser altretanto più lungo di voi: ma perché la brevità s'ama e si cerca, lasciarò di replicare a quel che pretermetter si può e me ne verrò alla confermazione delle mie ragion principali, non lasciando però prima di dire ch'io son certo che queste donne giudicarà voi e non me privo di luce, benché esse, ove saran con la presenza loro, tengo fermissima fede che né a voi, né a me, né a veruno habbia da mancare il lume, sendo esse atte con lo splendor loro a illustrar le più oscure tenebre, e di questo sia detto a bastanza. [78] Bella certo è la vostra distinzione di femmina e donna, se bene a me nuova, come a quel che pensavo che tutte le donne fusser femmine, con tutto ciò avvertite che la non toglie l'autorità del Petrarca, perché egli seguendo dice: Ond'io so ben ch'un amoroso stato in cuor di donna poco tempo dura, dove si mostra che in quel luogo non fa differenzia alcuna da femmina e donna. [79] La felicità, poi, così attiva come contemplativa, non so come meglio si possa acquistare per mezzo della servitù fatta a donna, perché quando anco non si habbia di primo a andar al cielo, per non portar pericolo (come dite voi) di rompere il collo, ci sarebbon molti altri mezzi senza lei, qual invero è troppo pericoloso mezzo, essendovi gran dubbio che non ci fermiam nel primo grado senza curar di salir più su, non altrimenti che intervenisse a quelli che gustasseno l'incantata bevanda di Circe e di Calipso, o a quelli avvenga che tra gli scogli addormentati restano dal dolce canto delle Sirene. [80] E tra gl'altri c'è l'istesso mezzo de l'huomo, che, per superar la donna assai di perfezzione, è più degno di farci scala di salir al cielo, come quello che da quel Mercurio, che per la sua gran dottrina fu detto tre volte grande, è chiamato un mortale iddio, e sarà molto più proporzionato mezzo l'huomo a l'huomo, che non è la donna, e verrassi in una tal contemplazione (secondo il precetto del tempio delfico) a conoscer se stesso. [81] Questo pericolo già da me mostro che si trova ne l'usare il mezzo de la donna, di non si fermar, dico, nel mezzo senza cercar d'andar più oltre, fa ch'io tenga che non facilmente, o meglio s'acquisti anco per la servitù che le se fa la felicità pratica, il che, se bene intervenne a Cimone, a molti altri avvenne il contrario. [82] Ma per mia fé, che mostrate molto bene l'acutezza de l'ingegno vostro, tirando la guerra troiana in lode delle donne, che senza dubbio resulta in lor biasmo, che solo per cagion di esse fu destrutto un così grande imperio, con morte di tanti valorosi eroi: frutti che si colgon da l'amor ch'a donna si porta. Quanto meglio havereste detto, se dicevate che /c. 603r/ in questa a loro servitù s'acquista la fortezza, imparandosi a soffrire, che è parte d'essa: et certo che bisogna con le donne armarsi di gran pacienza, et Socrate con la sua Santippe ce ne faccia fede. [83] Piacemi di concedervi che non ogni servitù denoti viltà, se ben potrei, a quel che m'opponete della servitù che si fa a Dio et al principe, replicare che quella non è servitù ma obligo et, per dir così, parte di pagamento di debito. [84] Né tampoco voglio anco replicare a quelle ragioni che per la parte della nobiltà dell'huomo proposi senza pensiero di fabricarvi sopra, nelle quali si potrebbe similmente stare assai, et me ne vengo alla pruova delle due nelle quali fo maggior fondamento: et dico, quanto alla prima, che nel ventre materno inanzi è formato l'huomo che la donna, il che si vede per l'esperienza del senso, contra il quale non vale ragione in contrario, essendo egli organizato molti giorni prima, et tenendosi che subito che il corpo è organizzato et formato in tutti i suoi membri s'infonda l'anima razionale per la quale siamo huomini. Adunque intenzione della natura è di far prima l'huomo che la donna, come più amato da lei et più nobile, et poscia la donna, quando per difetto della materia altro non può fare. [85] Che poi la donna s'assomigli alla materia et l'huomo alla forma, questo anco nell'atto della generazione si comprende, concorrendovi ella (secondo l'oppinione de' più dotti) con il seme suo come materia et l'huomo come forma et agente, per prestare ogni un della natura sua propria: et ben fu conosciuto questo da' pittagorici, i quali facendo due generi principalissimi, uno di beni et l'altro di mali, mettono la femmina et la materia in quello de' mali, come simili infra di loro, et la forma et l'huomo in quello de' beni, et sì come dimostravan la femmina per il numero pari, così chiamavano la materia dualità, volendo con i loro misteri de' numeri insegnarci la natura delle cose. [86] Et per mostrarvi finalmente quanto amore si debbia fuggire, come quello che accieca l'animo, disvia l'ingegno, privaci della memoria, dissipa le facoltà, guasta le forze del corpo, /c. 603v/ è nimico della giovinezza, della vecchiezza morte, padre de' vizii, habitatore di vani petti, cosa senza ragione, senza ordine, senza stabilità alcuna, errore delle menti non sane, somersione dell'humana libertà, voglio che consideriate il suo principio, il mezzo e 'l fine. [87] Non è dubbio che ei nacque d'ocio et di lascivia humana, degnissimi genitori di un sì nobil parto, nel mezzo assenzio e l'esca tosco ch'a' suoi servi dona, nel fine altro non troverete che discordie, rovine et altri infiniti mali, onde a ragion si può dire di lui: "spesso a vergogna et talhor mena a morte". Quindi vengono i continui rammarichi, quindi i lamenti et le strida de' miserelli amanti che sempre si trovano afflitti et tormentati hor dagli sdegni dell'amate, hor dal fervido disio di possederle et sempre dalla gelosia, loro fedelissima compagna. [88] Laonde se mai gustano piacere alcuno (inoltre che le speranzze sono dubbiose e 'l dolore certo) ben si può dire: "un poco mel molto aloè con fele"; quel che anco per la voce amore ci si dimostra, che altro in sua ragion non vuol dire che amaro, et però di lui saggiamente disse il Petrarca: [89] Questi è colui ch'il mondo chiama Anore, amaro come vedi, et vedrai meglio quando fia tuo come nostro signore, mansueto fanciullo et fiero veglio. Ben sa ch'il pruova. [90] Guardisi dunque ciascuno da sì gran precipizio, fuggasi questo pericolosissimo scoglio non altrimenti né con minor prestezza che facciano gli accorti et savi naviganti da Cariddi et Scilla, et se più pericoloso luogo è in mare, che ben di lui si può dire con il verso del Sanazaro: "ch'è danno in gioventù, vergogna al senio". [91] Et questo è quanto ho voluto per hora replicarvi, lasciando andare (a compiacenza vostra) le comparazioni et le pitture, quali non sono di sì poco momento come le tenete per farci capaci di molte cose, queste per non esser sempre fatte a caso, et quelle per la forza della similitudine, la quale se ben non è necessaria non deve disprezzarsi in tutto: et volentieri aspetto le risposte a quel che ho detto -. /c. 604r/ [92] CAVALIERE FERRAIUOLO: - Vorreste pur dare ad intendere a queste gentildonne che il mal loro fosse sano, ma non so come v'habbia da venir fatto: piacemi bene che (conoscendo in parte la virtù loro) cominciate in un certo modo a fare la disdetta et ho non poca speranza che, prima che sia giunto al fine il nostro ragionamento, la deviate fare in tutto. Et perché ciò avenga vi rispondo che il Petrarca in quel luogo usò il nome di donna impropriamente per ripetere in un medesimo sonetto quello di femmina, et che sia vero vedete che la sentenza è levata quasi di peso da Virgilio, che disse "la femmina è cosa che sempre varia et si muta". [93] Ma non veggiamo chiarissimamente la costanza della donna maggior di quella dell'huomo senza comparazione alcuna, che, dove di lui non ne habbiamo pure uno essempio, di lei si ce ne offeriscono infiniti? et bastici quel di Servilia in verso Cesare, che durò di amarlo, benché egli senza havere a lei et al suo honor rispetto presentasse le lettere da lei mandateli al fratel Catone nel Senato. Si troveranno ben degli huomini molti essempi di fraude et incostanza: l'haviamo di Iasone, l'habbiamo di Theseo et anco del perfido Bireno. [94] Che poi l'huomo sia mezzo migliore et più proporzionata scala per condursi al cielo et finalmente alla contemplazione di Dio che la donna, questo lo vo' lasciar vedere a voi solo, et io più volentieri mi vo' servire, per far ciò, della scala della donna e 'l medesimo (facendo a mio senno) deveranno fare gli altri, perché conosco molto più pericolo in usare il mezzo dell'huomo che della donna, né mi risolvo che ei sia più nobile, come, tolti che saranno gli argomenti con i quali vi sforzzate di provare la sua perfezzione, verrà a chiarirsi. [95] La difficultà c'havete, dubitando che altri non si fermi in tal mezzo senza curar d'andare più oltre, si toglie tuttavia che egli servirà et amerà donna nobile et virtuosa et tale qual dalla legge nostra /c. 604v/ ci è posta davanti, per l'essempio della quale (dovendo sempre cercare l'amante di conformarsi con la cosa amata, rendendosi di lei degno) verrà ad operare secondo le virtù morali et così acquisterà l'una et l'altra felicità. [96] Dalla rovina di Troia per conto di donna non se ne può trarre cosa alcuna (come inferite voi) in biasimo suo, ma sì bene in lode, vedendosi che tanto et meritamente era tenuta in pregio che mosse a prender l'arme et far sì lunga guerra due così potenti nazioni, et se in conseguenza ne venne poi la rovina di Troia con la morte di tanti huomini valorosi, questo avenne solo per la ostinazione di Paris et de' Troiani in non volere restituire il mal tolto, né debbiamo incolparne Elena. [97] A quel che dite che la natura intende principalmente di generare l'huomo, perché prima si organizza il corpo del maschio che della femmina, vi rispondo che questo pruova il contrario di quel che volete voi, perché si vede che la dà più opera et più tempo in formare la femmina, come cosa più perfetta et più prezzata da lei, et vedete che se fossi desiderio della natura di far solo il maschio, come par che dalle vostre parole si tragga, desidererebbe la destruzzion sua, non si potendo senza la femmina conservare la specie. [98] In quanto poi al presupposito che fate, secondo l'oppinione (dite voi) de' più dotti, che la donna concorga alla generazione come materia et l'huomo come forma, se non me lo persuadete con altra ragione che d'autorità, non l'accetto, havendo quell'autorità di quel gran medico Galeno per me, che pur dà al seme della donna virtù (per così dire) formativa, né mi dà molta noia quel che si credessero i pittagorici nelle loro similitudini et ordini di beni et mali, e so anco che la cosa imperfetta la denotavano per la femmina, et la perfezzione per il maschio, ma da noi in ciò deono essere accettati. Et quando anco mi pruovasse la vostra intenzione in quello che la femmina concorresse nella generazione con il seme suo come materia, non so se m'havrete condotto dove pensate. [99] Et per rispondervi in ultimo a quel che havete detto contra amore, vi dico havreste da vantaggio ragione quando l'amor che portano questi /c. 605r/ gentilissimi spirti Ferraiuoli alle donne loro fosse della qualità che lo descrivete, dico nato "d'ocio et di lascivia humana", et, per aggiugnere quel che segue, "fatto dio et signor da gente vana". Ma perché esso è tale che, contentandosi eglino di possedere l'animo delle donne loro, non bramano da quelle cosa che honestissima non sia et debita alla fedele loro servitù, di qui è che egli non ha havuto quel brutto principio che voi dite. [100] Non starò ad addurvi le distinzioni note d'amore, da voi molto bene conosciute: sol vi dirò che tutte le passioni che in esso si provano non vengono da lui come propria cagione (per essere la pura sua intenzione d'unire l'amante con l'amata per beatificarlo), ma sì bene dall'imperfezzione et mala fortuna degli amanti: dico mala fortuna quando non ci è la corrispondenza in amore et imperfezzione quando da loro si desidera più che non si conviene, né altrimenti avien di questo che del vino che si dà agli infermi di pena di petto, che se ben per se stesso è buono, non di meno per la qualità dell'infermità gli amazza, o loro nuoce grandemente, o vero come de' raggi solari che se percuotono in un corpo morto lo corrompono, benchè la lor natura sia di preservare et dar vita. Et certo che meritamente si può assimigliare l'amore al sole (intendendo però sempre di quel retto dalla ragione), poiché egli questa nostra mente per sé tenebrosa rischiara et allumina, conducendola a Dio; questo, togliendoci al tempo, ci consacra all'eternità, furaci alla morte et donaci alla vita. [101] Chi sarà dunque che ardisca biasimarlo? e quale altra cosa è più di lui degna di lode? qual più utile a' mortali? che se noi lo volessimo torre dalla terra, converrebbe levarne gli huomini et ogni altra cosa creata et ridurre il mondo in quel primo /c. 605v/ caos, dove altro non era che odio et combattimento. [102] Venga avanti lo ignorante volgo et lodi le ricchezze tanto da lui prezzate, pongansi in mezzo le signorie i regni, ammirinsi le dottrine et virtù de' filosofi, ma non sia alcuno che le preferisca a amore, che più d'ogni altra cosa ci fa a Dio cari et simili: tutte l'altre lodate operazioni ci adornano, questa sola rinuova la vita nostra che senza essa mancherebbe, l'altre sono proprie dell'huomo, questa non come mortali ma quasi iddii da Dio inspirati operiamo, non a beneficio di pochi ma di tutto l'humano genere. Et chi non sa che è maggior virtù il procurare il ben publico che il privato? Et però amore è di gran lunga migliore di qual si voglia altra cosa che utile et honore ci arrechi. Per il che vedete che non è così pericoloso scoglio come lo fate, né da fuggirsi a vele sciolte, ma sì bene sicuro et lieto porto d'affaticati et stanchi nocchieri -. [103] CAVALIERE STRANIERO: - Honoratissimo Signor mio, certo che non meno dottamente che distintamente havete risposto a' nostri dubbi, mostrando in ciò l'eccellenza et l'acutezza dello ingegno vostro, non di meno ci sforzeremo di confermarli, non già per far vedere a queste nobilissime gentildonne che il male sia loro sano, ma più tosto perché maggiormente apparisca il valor d'esse, che, repugnando alla poco lodevole loro inclinazione naturale, si trovan sempre stabili et ferme, a guisa del corpo quadrato, nelle virtuose operazioni. La fama delle quali, non contenta de' termini di Toscana et d'Italia, è penetrata con il suono della sua alta tromba nelle nostre lontanissime regioni, /c. 606r/ anzi che con una mano tocca l'oriente, con l'altra l'occidente et movendosi in giro giunge a settentrione et a mezzo giorno, né contenta di questo con i piedi posandosi in terra, se ne va agli antipodi, et con la somità della testa arriva al cielo. Et certo che così bene rispondon loro a' miei argumenti tacendo, come voi parlando et forse meglio. [104] Ma non è per questo che, intendendosi delle donne in universale, non sia vero quanto ho detto, cioè che esse sono naturalmente volubili. Né un essempio che adducete in contrario basta per provarle costanti, sì come una rondine et un fiore non fanno primavera, et non mancherebbero essempi d'infedeltà nelle donne anchora, che da me si direbbero se non dubitasse d'esser troppo lungo in narrarli. [105] Ma che il Petrarca volesse intendere di tutte le donne, chiamandole mobili, senza far quella vostra sottil differenza da femmina et donna, inoltre che egli nomina più di sotto donna, apparisce manifesto per parlarsi in quel luogo di madonna Laura sua, che, come disse altrove, solo a lui parea donna, né havrebbe usato il nome di femmina in significato meno che ragionevole, donde manifestamente si trae che non fece ivi alcuna differenza da femmina et donna. [106] Che si debbia poscia, per acquistar la felicità contemplativa et prattica, servirsi più tosto del mezzo dell'huomo che della donna, questo (come bene ne accennate voi) apparirà provato che si sia che ei superi in nobiltà la donna, donde verrà anchora a chiarirsi che, se bene per far ciò si pigliasse la donna nobile et virtuosa, non sarà che, /c. 606v/ trovandosi l'huomo et più nobile et più virtuoso di lei, non sia mezzo più conveniente et lodevole. [106] Verrò dunque a provarlo con la confermazione delle già dette ragioni, si però prima v'havrò risposto che della rovina di Troia non ne fu cagione principale l'ostinazione de' Troiani, o di Paris, ma sì bene l'impudicizia d'Elena, che contra le leggi del santissimo matrimonio se ne andò seco, né è da meravigliarsene essendo (per il testimonio di Euripide) la donna principio, mezzo et fine d'ogni male, laonde è detta donna dal danno che la ne dà, non che tal nome significhi signoria, come volete voi. [107] Et che, organizandosi prima il corpo del maschio che della femmina, la natura habbia per primo intento di generare il maschio, è tanto chiaro che non ha bisogno quasi d'alcuna pruova, essendo a tutti noto che quelle cose che volentieri si fanno più presto si conducono al desiato fine et con men fatica: et vedete che l'huomo (come più a lei caro) si genera nel lato destro, che è del sinistro più nobile. [108] Né vi dico che il desio della natura sia di generar solo il maschio, ma principalmente sì, et però non casco nell'inconveniente che adducete, concedendovi che la vuole generar la femmina per il mantenimento dell'huomo, come cosa che a nulla o poco altro è buona che a generar figliuoli: et di qui si conclude la perfezzion maggior dell'huomo, la specie del quale se altrimenti si fosse potuta mantenere, non sarebbe per aventura stata fatta la donna, animale imperfettissimo e di poca, o niuna degnità in comparazion dell'huomo, laonde per farle fare qualche atto virtuoso, poiché per se stessa non era bastante, /c. 607r/ bisognò con la guida dell'huomo frenarla, aggiugnendo (oltre al timore della morte) la vergogna e 'l timor d'infamia, come si vede. [109] Ma che quelle cose che la natura fa con più lunghezza di tempo siano più pregiate et più amate da lei, et però in maggior grado di perfezzione, a me pare falsissimo, perché ne seguirebbe che molte bestie, et particolarmente l'elefante (che, secondo l'oppinione di alcuni, sta diece anni nel ventre materno), fosse più perfetto et della donna et dell'huomo. [110] Voglio hor provarvi, non per autorità ma per ragione, che la donna concorga alla generazione come materia et l'huomo come forma, et dico così (di grazia ascoltate): essendo che ogni composto si fa per l'unione della forma con la materia et che gli è di mestieri che queste due cose concorghino alla generazione, l'huomo di natura caldo è più ragionevole che dia la forma, per essere il calore attivo, che la donna che è di natura fredda: il che da tutti si concede provandosi per la morbidezza del corpo suo, per la timidità dell'animo et altri segni, i quali lasso, et però meritamente darà la materia cosa disposta a patire. [111] Il che dal gran poeta Dante fu benissimo conosciuto nel XXV canto del Purgatorio, quando disse: Ivi s'accoglie l'uno et l'altro insieme, un disposto a patire et l'altro a fare per lo perfetto luogo onde si preme (et quel che segue), volendo egli (secondo la mente degli ispositori) per il disposto a patire /c. 607v/ intendere della materia somministrata dalla donna, et per il disposto a fare il seme dell'huomo, che tiene il luogo della forma. [112] Ma voglio lasciare andare queste sottigliezze et volentieri me ne vengo con esso voi a parlare d'amore, dicendo che questo amore che fingete voi ne' Cortigiani Ferraiuoli solo dell'animo è più proprio delle intelligenze, o degli angeli, che dell'huomo, il quale, per essere un composto d'anima et di corpo, non so vedere come s'habbia da contentare della pura et semplice possessione dell'animo, avenga che in questo modo non verrebbe a godere del suo amore perfettamente; né meno come possa chiarirsi d'una tal possessione, non se li dando il corpo per arra, che in comparazione dell'anima è assai minor dono; et mi rendo certo che a questi che si contentano di satisfare solo in amore la mente, intervenga il medesimo che a quegli che, trangugiando il cibo senza punto toccarlo co' denti, non ne pigliono buono nutrimento, ma più tosto s'infermano, et mi credo che questo sia anzi che no un amore immaginario: sì che la risposta vostra non m'acqueta, dovendo noi parlare dell'amore dell'huomo et non dell'angelo. [113] Et che un tale amore che all'huomo si concede non nasca da ocio, o ragionevol cosa sia, o vero governato dalla ragione, nessuna ragione mi persuade, vedendo tutta via i gravi danni che da lui risultano, onde invero dir si può, con il virtuoso messer Girolamo Lapini nelle sue bellissime stanze della castità, falsamente /c. 608r/ attribuite al Cardinale Egidio: Amor aduggia il buon seme fecondo, et egli in somma è quel che guasta il mondo. Ma che bisogna che ei tenga della natura del padre et della madre che, senza controversia, sono la destruzzione del tutto et la maggior peste che habbiano i miseri mortali -. [114] CAVALIERE FERRAIUOLO: - Durerete una grandissima fatica se vorrete restare con buona satisfazione apresso di queste virtuosissime gentildonne, ingegnandovi di trattarle da fanciulli, a' quali, per giuntarli (volendo loro far bere le bevande amarissime), si suole ungnere l'orlo della tazza con alquanto di mele. Né altrimenti fate voi che, lodandole prima un poco, venite poi con i colpi fieri de' vostri argomenti a cercare di trafiggerle fin'al vivo. Ma sicuratevi pure che, se bene sono gagliardissimi indirizzati verso di loro, resteranno come saette di piombo che percuotino in uno fermissimo et durissimo diamante. [115] Et di tanto rendendomi certo, vengo a rispondere alle vostre ragioni, o per dire meglio calunnie, ove in quel che accusate per troppo sottile et quasi sofistica la mia distinzione da femmina et donna, mi contento d'errare con messer Giovanni Boccaccio che nel Laberinto et altri luoghi la fa similmente, et per torre in tutto (se non erro) il vostro argomento, vi dico che l'autorità del Petrarca in questo /c. 608v/ luogo si può negare, atteso che egli parlò trasportato da passione per tema et grandissima gelosia c'havea di non perdere madonna Laura, il che si comprende per il restante del sonetto, sì che cercate pure di provare l'instabilità della donna con altre ragioni, et lascinsi (per farvi servigio) da banda anco gli essempi. [116] Venite dopo questo a replicare che Elena fosse in tutti modi cagione della rovina di Troia, accusando la sua impudicizia come prima origine della guerra. Ma ditemi di grazia et perché non più, o parimente, quella di Paris? che violò il santo ospicio così cortesemente concessoli da Menelao, corrompendo la castità della sua carissima moglie et finalmente conducendola seco? forse per la licenza poco honesta et tirannica che ingiustamente si sono presa gli huomini di non solamente concedersi quel che alle donne vietono, ma anco (oh sceleratezza grande!) gloriarsene, et per ciò esserne tenuti più pregiati, accusando tuttavia nelle povere donne quello che in loro reputano virtù, sotto color di dire che esse fanno gravissimo errore per imbastardire il sangue facendo allevare per suoi i non veri figli, come se essi non fossero del medesimo similmente cagione. [117] Né si potrà qui ricoprire Paris sotto lo scudo di Venere che non ne venga scusata anchora Elena, aggiugnesi a questo che, se si dee credere ad Erodoto, padre della istoria greca, autore antichissimo et seguitato in ciò nella tragedia intitolata Elena da Euripide, solo Paris ne resterà incolpato, dicendosi da costoro che non fu vero che Elena fosse condotta da Paris in Troia, ma che, /c. 609r/ per opera di Giunone, fu trasportata da Mercurio in Egitto, dove visse castamente et dal consorte fu ivi ritrovata et condotta in Argo, et che in luogo suo fu da Paris menata a Troia l'immagine sua, composta d'aere dalla madre et sorella di Giove per beffarlo in vendetta della sentenza che egli le diede contra, pensando esso che la fosse la vera Elena, donde ebbe principio la guerra troiana, restando in ciò ingannati anco i Greci. [119] Et quando fosse pur vero quel che da i più si scrive, adunque per una donna scelerata deverà infamarsi tutto il femmineo sesso? come se non si fossero trovati, o trovassero degli huomini sceleratissimi molto più delle donne, et in maggior numero: dovransi dunque per questo biasimare tutti in universale? [120] Guardici Idio da simile errore, sì come anco dal credere a quel che è stato detto da Euripide in biasimo delle donne, ché invero voleva loro mal per altro, che più honesto è il tacerlo che accennarlo, non che dirlo: et vedete che per ciò ei fece il fine che meritava. Et date pur fede a me che donna non vuol dire danno alcuno, ma sì bene dono datoci dal cielo, per rendere felicissima la vita nostra, essendo ella vero oriente di piacere, mezzo di gioia et bene unico del mondo (il che fu conosciuto benissimo da messer Lodovico Martelli nelle rare stanze che ei fece in lode delle donne) et ben si vede che da Dio è mandata, splendendo in lei un vivo raggio della sua bellezza: però beato chi la guarda, più beato chi l'honora et beatissimo chi la serve. /c. 609v/ [121] Potrei rispondervi a quel che dite falsissimamente che, per fare operare la donna atti di virtù, fu di necessità il frenarla con il timore della morte et dell'infamia, quasi vogliate inferire che da lei non procede operazione buona per essere forzzata et non volontaria, ma non lo vo' fare, lasciandovi in una tal sinistra oppinione acciò che ne facciate la penitenza, qual sarà il cattivissimo concetto che piglieranno di voi tutti quelli che in maniera tale vi sentiranno parlare, tanto più che, se considerarete bene, non è poca lode questo timore d'infamia che a mal grado vostro le date. [122] Et parendomi intorno a ciò havere detto a bastanza, voglio rispondere al resto del vostro ragionamento: et dove dite che la natura, come quella che per principale oggetto il generare l'huomo, lo fa più presto perché quelle cose che più volentieri si fanno et maggiormente s'amano si sollecita il farle, et conduconsi prima alla dovuta perfezzione, vi replico che a me pare più tosto che quelle che non molto si prezzano, facendosi come a caso, senza porre in esse molto studio e diligenza, in breve si conducono al fine. [123] Et chi sa se questa fosse la cagione di formarsi avanti il maschio che la femmina nel ventre materno? né mi muove punto l'inconveniente che adducete, dicendo che, se le cose che la natura indugia più a fare fossero più perfette, si concluderebbe alcuni animali inragionevoli essere più perfetti dell'huomo, perché il mio detto s'intende parlandosi di quei della medesima specie et in comparazione infra di loro. /c. 610r/ [124] Che voi vogliate anchora che, generandosi l'huomo nel lato destro, sia dalla natura più amato et più nobile, vi confesso che mi fate assai meravigliare, come se non si vedesse che, generandosi la femmina nel lato sinistro, gli è più a cuore et però la vuole a lui più vicina, sì come che la generi la femmina per conto dell'huomo et non l'huomo similmente per conto di lei: et certo che questa cosa a me pare stranissima, et da non la credere, come in verità non la credo, né credo che chi dire ve la sente la creda anco. [125] A quel poi che vi pare di provare, cioè che la donna (per essere di natura fredda) concorga alla generazione come materia, dove l'huomo, di natura calda, ci debbia concorrere come forma, vi dico che (dandovisi, ma non concedendovisi questo) non si conclude (a mio giudicio) la somiglianza della donna con la materia, o dell'huomo con la forma, et per conseguenza la sua nobiltà maggiore, ma sì bene l'azzione più gagliarda del seme dell'huomo di quello della donna in tale atto. Et se anco si considera bene, non troveremo le donne così fredde come le fate, sì che loro anchora vorranno introdurre forse la forma. [126] Et donde credete che avenga che i figliuoli si assimigliano il più delle volte più alle madri che a' padri? Aggiungete a questo che la forma, per essere di natura incorporea et mancare d'ogni accidente, non potrà più assimigliarsi più al caldo che al freddo, et così più /c. 610v/ alla caldezza dell'huomo che alla freddezza della donna la materia. [127] Finalmente, non meno volentieri di voi, anzi più senza comparazione, vengo anch'io a parlare d'amore. Et per mostrarvi prima che l'amore del quale io parlo, et che dai Cortigiani Ferraiuoli è con tutto il cuore abbracciato, non è quel degli angeli, o pure intelligenze, quale invero non si può perfettamente possedere dall'huomo mentre che congiunto con il corporeo peso habita qua giù, ma sì bene un'arra di quello, né meno quello abominevole ferino, che da voi con gran ragione si biasima come nato di padri tanto nocevoli al bene et beato vivere, vi dico che questo tiene una strada di mezzo infra di loro, et dove quel dell'intelligenze contempla solo l'animo, il nostro contempla insieme l'animo e 'l corpo, contentandosi però di possedere quelle tre bellezze che senza alcuna macchia si può, cioè quella della virtù con l'animo, quella della proporzione, ordine, decoro et venustà delle membra con l'occhio del corpo, et quella dell'armonia et consonanza delle voci con l'udito, né trapassa a cose meno che honeste immergendosi nelle libidini sozze dell'amore bestiale, et se desia di possedere il corpo, non è come di primo oggetto ma solo per chiarezza, sicurezza, et arra della possessione dell'animo. [128] Però vedete che non è vero che di questo amore non goda tutto l'huomo perfettamente, et di più vi dico che ciò non seguirebbe quando tutto quel che dite fosse vero, perché basterebbe che ne godesse l'animo, /c. 611r/ qual sapete essere stata oppinione del divin Platone nell'Alcibiade primo, che solo veramente sia l'huomo e 'l corpo suo instrumento; ma quando anco per accostarsi al vero volessemo essere più peripatetici che platonici, basterebbe solamente che ne godesse l'animo, come più nobile parte dell'huomo et quella per la quale egli è. Sì che vedete che in ogni modo non sarebbe amore immaginato, come affermate. [129] Laonde io concludo hora indubitatamente che egli non sia quello che nacque d'ocio et di lascivia humana, et molto meno, come volete inferir voi, il distruttore del mondo. Anzi dico, con il dottissimo messer Pietro Bembo nelle sue artificiose stanze: Amor è seme d'ogni ben fecondo et quel ch'informa, e regge, et serva il mondo. Et con questo fo fine -. /c. 615r/ PAROLE DEL SECONDO RAGIONAMENTO [130] CAVALIERE STRANIERO [Che fu Girolamo Cerretani]: - Dovendo, gentilissimo Signor mio, tutte le operazioni nostre (se dalla ragione sono guidate) haver davanti qualche honesto fine al quale s'indirizzino, et nel quale, conseguito che l'hanno, si riposino, onde è che il soldato, dopo le lunghe fatiche et pericolosissimi disagi che seco aporta la guerra, altro non desidera et ad altro non aspira che alla felice vittoria per godere poi tranquillamente la tanto amata pace, il navigante che per aventura troppo audacemente si commette al mare infido ha sempre davanti agli occhi della mente quello stabile et sicuro porto dove egli intende di condursi et riposarsi, il mercante ad acquistar thesori, per poter poi bene et commodamente vivere con la famiglia sua, il medico di introdurre la sanità nel corpo alterato et mal disposto, o vero conservarla nel sano, molto mi meraviglio di voi et degli altri signori Cortigiani Ferraiuoli (i quali per giudiciosissimi tengo) che in una azzione così faticosa, che, in tutto et per tutto a voi stessi togliendovi, ad altri vi dona, vogliate, restando privi del desiato suo fine, lungo tempo mantenervi. [131] Et questo chiaramente avviene ogni volta che vogliate seguire (come fate) d'amar donna che non gradisca la vostra fedel servitù et dalla quale non potiate sperar mai d'esser riamati: cosa a chi l'ode incredibile, sapendosi pure, per l'autorità del principe de' peripatetici, che ogni agente opera per il fine, anzi, che il fine è quello che, se bene è l'ultimo in essequzione, e primo nell'intenzione, è quel che veramente ci muove ad operare, et non di meno si vede ciò per certissima et manifestissima pruova. [132] Laonde a me conviene (per l'obligo che tengo con il Principe mio) il cercare di mostrarvi quanto grave sia questo errore: a che fare pensarò che s'habbia da durare poca fatica et però sarò nel dir breve, contentandomi d'addurvi due sole ragioni, le quali crederò che v'habbiano a far capace del vero. [133] La prima è che amar non si deono quelle cose che sono indegne d'essere amate, et tali senza alcun dubbio (perdoninmi se qui ne fossero di tal sorte) sono quelle donne che non prezzano la lunga servitù de' loro amanti, non ascoltano i gravi et continui lamenti, non guardano l'amarissime lagrime, non il color di morte ne' lor volti dipinto /c. 615v/ che grida tuttavia pietà del loro languire; l'altra che l'operazion vostra, non potendo conseguire il fin suo (come disopra v'ho accennato), viene a restare in tutto vana et degna d'ogni maggior biasimo. [134] Sì che lasciatela hormai, et secondo il costume de' più savi (come ne essorta il padre della latina lingua), mutate il consiglio vostro in meglio, ché tanto deverete odiarle per l'avenire, et anco molto più, che amate non l'havete, come quelle che invero pur troppo lo meritano. [135] Volgete, volgete gli alti pensieri vostri altrove, dove essendo ricevuti volentieri truovino grato albergo, et ivi l'amor vostro et ogni altra azzione s'indirizzi, non altrimenti che facciano le saette del savio et esperto sagittatore al segno propostosi, che così verrete ad amar cosa degna dell'amor vostro non faticando invano; et tanto voglio che per hora d'haver detto mi basti -. [136] CAVALIERE FERRAIUOLO: - Havete così elegantemente espresso il vostro concetto, valoroso Signor Cavaliere, che certo chi non cercasse più sottilmente la verità potrebbe facilmente restare ingannato dalla forzza della vostra eloquenza, come da quella che bene spesso suole convertire il bianco in negro, il che fu benissimo conosciuto da Atene ne' ragionamenti d'Alcibiade, la quale egli più volte a suo piacere volse et rivolse con dolce lingua et con fronte serena; ma chi più dentro riguardarà le cose, resecandole al vivo (come per trarne il vero si deve fare), non sarà dell'oppinione vostra, vedendo che si potrebbe biasimare d'incostanza quello amante che lasciasse (come volete voi) la cominciata impresa. [137] Et sì come il capitano egregio che ha presa ad espugnare una fortissima rocca non può senza carico partirsene, se ben vede l'impresa non solo difficile ma anco impossibile, et men biasimo gli è il morirvi d'attorno che vilmente abbandonarla, così far deve il vero amante in amore, che altro non è (quel che ben disse Ovidio) che una sorte di milizia et combattimento, havendo i suoi esserciti et le sue macchine da guerra, et altrimenti facendo verrebbe ad accusare il giudicio suo troppo grandemente con mostrar d'essersi messo ad impresa che riuscire non gli potesse già mai. [138] Ma perché l'addurre le /c. 616r/ ragioni in contrario non toglie i vostri argomenti, et acciò che il vero di questa qu(e)stione apparisca, vi sarà in piacere di provarmi che una donna che non riama sia indegna (come dite) d'essere amata, et anco che nell'amore che a tal donna si porta non sia il fine onde l'operazion sua venga a restare in tutto vana, perché queste cose appresso di me non sono così chiare, anzi mi fanno non poco dubbio; però aspetterò che le proviate, come dottamente proposte l'havete -. [139] CAVALIERE STRANIERO: - Se la ostinazione si potesse chiamar costanza havreste certo ragione di dire quello che dite, et non errerebbe punto quel capitano che prima morir volesse che lasciare l'espugnazione della rocca da lui assediata, et per conseguenza anchora l'amante che fin a morte seguisse d'amar quella donna che una volta s'havessi eletta per signora del cuor suo. Ma perché pur si deve dopo il primo fallo (che in parte è degno di scusa per non si potere conoscere a pieno ne' principii la cosa amata) guardarsi dal secondo, il qual sarebbe se pertinacemente voi volesse seguire la incominciata impresa, di qui è ch'io giudicherò sempre che non solo quel capitano per l'essempio del quale vi movete, ma voi insieme et tutti quegli che dell'oppinione vostra sono errino gravemente. [140] Et per farvelo conoscere dico che non è dubbio che non devrebbe mai alcuno lasciarsi superar di cortesia, ma più tosto (secondo il precetto d'Esiodo) imitare i campi fertili che molto più rendono di quello che si dà loro. Quel che anchora per la pittura delle Grazie, che si fingono compagne di Venere, madre d'Amore, vollero dimostrarci gli antichi, dipingendone due con la faccia volta verso di noi, dove una sola ce l'asconde. [141] Et chi non osserva questo troppo si dimostra ingrato et ardisco dire indegno del nome d'huomo, né maggiore ingratitudine si può dimostrare, invero, che non riamare coloro i quali non tanto c'amano, ma, scordatisi afatto di loro stessi, sol di noi pensano, sol di noi parlano, sol di noi scrivono. Et è tale questa ingratitudine che più volte ha mossi gli dei a giusta ira et vendetta. /c. 616v/ [142] Siaci di ciò essempio il bel Narciso, siacene la spietata Anassarete convertita in sasso, siacene Lidia insieme con l'altre al fumo infernale eternamente condennate. Et che altro causò la caduta dell'empio Lucifero che costei? [143] Laonde gentilmente fu detto da messer Lodovico Ariosto in persona di Bradamante che del suo Ruggiero si dolea: Se d'ogni altro peccato assai più quello dell'empia ingratitudine l'huom grava, et per questo dal ciel l'angel più bello fu relegato in parte oscura et cava, et se gran fallo aspetta gran flagello quando debita emenda il cuor non lava, guarda ch'aspro flagello in te non scenda che mi sei ingrato et non vuoi farne emenda. [144] Finalmente questa ingratitudine, che sempre con crudeltà si truova congiunta, è tale che sì come la gratitudine, o pietà ci fa a Dio simili, così ella ce li rende in tutto nimici et odiosi, onde accortamente disse il Tansillo nelle sue stanze del Vendemmiatore alle donne: Ma quella via ch'a tanto error vi mena et fa la vita vostra al fin dolente è l'empia ingratitudine, che piena v'ha del suo fuoco l'orgogliosa mente, quel fuoco donne mie ch'arde qua giuso et secca il mar de la pietà lassuso. Et Plauto non dubitò di dire: "Certamente nulla ami amando ingrato". [145] Chi vorrà dunque seguir donna che macchiata sia di vizii così abominevoli et rei? o chi la giudicherà degna, non vo' dire d'essere amata, ma pur guardata, o nominata? Et tali sono quelle che da voi, dopo che a mille pruove vi sete potuti chiarire che non riamano, sono con poco senno et troppo grave pericolo seguite, amate, riverite et adorate in terra. /c. 617r/ Per il che, quando io considero a questo vostro errore, mi sovviene del fine dello infelice Ifi et di molti altri che donne seguirono, come le vostre, crudeli. [146] Che poi non possiate conseguire il fin d'amore, voi stessi lo confessate, dicendo che dalle donne vostre non potete sperare d'essere riamati già mai: et quale altro è il fin d'amore che questo? che consiste d'unire gli amanti insieme et far che si trasformino l'uno nell'altro, restando in loro morti, vivendo in altri, et finalmente far divenire di due uno, et d'uno due et di due quattro, sì che dire si possa quel che da quel dotto spirto, fossi chi si volesse, fu detto: O grand'amor che con le forzze tue et uno, et quattro fai quei che eron due. [147] Questo medesimo fine d'amore ci è posto davanti dal divino Platone in persona di Aristofane nella favola degli androgini nel suo Convito, i quali, essendo per la loro superbia stati secati pel mezzo da Mercurio per comandamento di Giove, cercano per mezzo dell'amore di riunirsi. Però disse il nuovo Petrarca de' tempi nostri, Monsignor Pietro Bembo: Amor è quello poi che ne rintegra et lega et stringe come chiodo al mezzo. [148] Né altro fine so vedere io d'amore che questo, se da voi non mi si mostra. A questo si aggiugne quel che di già è passato in proverbio, che ogni fatica desidera premio: et che miglior premio può havere chi ama, che essere riamato? Onde è che questo sarà il vero fin d'amore. Per il che pensarò d'havervi provati a bastanza i miei fondamenti, et n'aspetto le risposte -. [149] CAVALIERE FERRAIUOLO: - Negar certo non posso che l'ingratitudine non sia un vizio così brutto che distrugge l'humana conversazione, atta non solo ad offuscare ogni ornamento di colui, o di colei in chi si trovasse, et segno infallibile d'animo vile et basso, quel che divinamente pruova Seneca il Morale nel suo libro De' beneficii, onde a ragion fu detto da Ausonio: /c. 617v/ Dell'huomo ingrato non crea la terra cosa peggiore, o più nociva mai. [150] Ma dall'altra banda non vi concedo già che una donna che non riama si possa dir macchiata d'un tal peccato, perché non essendo altro l'ingratitudine che un dimenticarsi de' benefici ricevuti, et non solo non rendere il contracambio di essi, ma alle volte anco pagarli di scortesia, ella che non riceve da chi l'ama alcun servigio, non venendo perciò a restar con obligo non riamando, non potrà notarsi d'ingratitudine, né voglio che qui nuocano gli essempi finti delle donne ingrate da' poeti et le punizioni atroci assegnate loro per tal delitto, poiché per altro non l'hanno fatto che per ispaventare le semplicette. [151] Ma perché talhora questa vi parerà cosa fuor d'ogni oppinione, meglio ve la dichiaro. Ditemi, per vostra fé: uno che vi facessi beneficio non potendo fare altrimenti, obligherebbevi perciò a cosa alcuna? so certo che direte di no. Et tali senza dubitarne sono quei che amano. Perché, o nasca amore dalla benevolenza et amicizia de' pianeti dell'ascendente dell'amante con quei dell'amata, secondo la oppinione degli astrologi, o vero dalla conformità delle complessioni come tengono i medici, o pure dalla somiglianza de' costumi, quel che da' morali s'afferma, dependendo le complessioni dalla positura de' pianeti, et i costumi in buona parte dalla temperatura del corpo, è di necessità il dire che amore (intendendo sempre di quello che a donna si porta) non proceda dalla elezzione nostra, ma sì bene dal destino. [152] Il che da' poeti amanti benissimo è stato conosciuto, et però disse il Petrarca: Ben sapev'io che natural consiglio, Amor, contra di te già mai non valse; et nello stesso sonetto nel fine: Ch'al suo destino mal chi contrasta, et mal chi si nasconde; et altrove: Lo mio fermo desir vien da le stelle; sì come anco: Poi che per mio destino a dir mi sforzza quella accesa voglia, che m'ha sforzzato a sospirar mai sempre; similmente: /c. 618r/ Se gli è pur mio destino, e 'l cielo in ciò s'adopra, ch'Amor questi occhi lacrimando chiuda. Et molto più chiaramente quando disse parlando della sua lingua: Amor la spinge et tira non per elezzion ma per destino. [153] Et Monsignor Della Casa non dubitò di dire: Amor, io piango, et ben fu rio destino che cruda tigre ad amar diemmi et scoglio sordo, cui né sospir né pianto move. Chiamò anco in altro luogo la sua donna "destino", dicendo: E' natural fierezza, o mio destino, che da voi pietà parta et scompagne? [154] Ma et il Bembo, parlando dell'anima sua innamorata, non disse: Dolce destin che così gir la face, dolci del mio cuor prede? [155] Infinite autorità ci sarebbero per provarlo, et del Petrarca et d'altri, ma mi contento che queste bastino per scusa delle donne amate da' Ferraiuoli, le quali, come per questa ragione non si potranno dire ingrate, per la medesima non si deveranno dire crudeli et molto meno indegne d'essere amate, guardate, o nominate, come dite voi, et inoltre che il destino, per la parte dell'amante, le scusa per non le obbligare a cosa alcuna, restano anco fuor di biasimo per la parte loro, tirandole per aventura questo medesimo destino ad amare altri. [156] Alla seconda vostra ragione rispondo che amore sortisce il suo fine, benché forse non conosciuto da noi, senza che l'amante sia riamato, essendo egli naturale, et non facendo la natura cosa alcuna invano. Et se mi domanderete quale io tengo che sia, vi dirò che egli è l'alzare l'intelletto dell'huomo da terra, per mezzo della bellezza, a facilitargli la strada per sé erta da condursi al cielo et finalmente congiugnerlo a Dio: quel che a pieno è stato mostro dal mio antecessore nella disputa con il collega vostro. A che fare se ci è l'amore reciproco più facilmente si va, ma non però che si ci tolga per non essere riamati, /c. 618v/ et che per ciò restiamo in esso privi del fin suo. [157] Né è amore opera mercenaria che aspetti (come vi imaginate) premio fuor di sé: anzi l'ha in se medesimo, come la virtù che di se stessa è contenta, et se per altro che per esser virtù s'operasse, non sarebbe più virtù. Vedete da qui che la nostra perseveranza in amore non merita d'essere ripresa, né si può dire ostinazione non vi si possendo ripugnare; et lo confessereste anchor voi, quando vi ritrovasse involto ne' medesimi lacci et ardere nel nostro fuoco -. [158] CAVALIERE STRANIERO: - Da questo mi guarderò io molto bene, ché son certo che peggio non mi potrebbe intervenire, poiché, oltre a' martiri che porta seco amore, havrei a provare anchora le durezze, la crudeltà et l'ingratitudine della donna che io amassi, cosa da rendere, se possibil fosse, infelice la felicità istessa. Et prima che altrimenti dir mi sentiate mi troncherò la propria lingua co' denti, come fece quella famosa in ciò meretrice, per non rivelare il segreto conferitogli. [159] Ma lasciando questo per venire alla difficultà messa in mezzo da voi dell'elezzione et del destino, vi dico prima che per nascere, o causarsi amore (come dite) o dalla amicizia de' pianeti, o dalla conformità delle complessioni, o dalla somiglianza de' costumi, non si può in esso concludere il destino, ma sì bene l'inclinazione, inclinandoci et non isforzzandoci tutte queste cose. Et però è stato detto che l'huomo savio signoreggerà alle stelle. [160] Et se alcuni poeti hanno lasciato scritto altrimenti, l'han fatto per iscusar la lor follia, et invero che di troppe cose si incolpa questo destino, essendo non di meno ciascuno a se stesso autor del destino et della propria fortuna. [161] O vero per salvarli ci serviremo della dottissima distinzione di Dante nel XVIII del suo Purgatorio, presa et meglio dichiarata nell'Instituzione dal rarissimo et eccellentissimo sopra tutti gli altri filosofi de' giorni nostri il Signor Alessandro Piccolomini, dicendo egli che il principio d'amore chiamato da lui compiacimento è per destino, et a quello risguardando tutti quelli che allegati m'havete sono stati per aventura /c. 619r/ di tale oppinione, non che l'amore del quale trattiamo, che nasce dopo quel primo compiacimento per il discorso che fa l'amante sopra la cosa in tal modo amata, non proceda da elezzione. [162] Et che sia il vero, avvertite che d'esso intendendo il Petrarca disse in altro luogo: Che parlo? et dove sono? et chi m'inganna altri ch'io stesso e 'l desiar soverchio? Già s'io trascorro il ciel di cerchio in cerchio nessun pianeta a pianger mi condanna. S'il mortal velo il mio vedere appanna, che colpa è de le stelle, o de le cose belle? Meco si sta chi dì et notte m'affanna; et altrove: Misero me che tardi il mio mal seppi, et con quanta fatica hoggi mi spetro dell'error ove io stesso m'ero involto. Similmente, parlando al suo cuore, disse: Per che d'ogni mio mal te solo incolpo. [163] Et l'Ariosto fa dire all'innamorata Bradamante: Ma di chi debbo lamentarmi, ahi lassa, fuor che del mio desire irrazionale? et poco più di sotto: Anzi, vie più che del desir, mi deggio di me doler, che sì gli apersi il seno. [164] Et per concordare insieme tutte queste autorità, concludo replicando che il principio d'amore, il quale anchora in un certo modo si può chiamare amore, sia per destino, ma l'assenso che a lui segue, per il discorso che propriamente si dice amore, del quale intendono tutti quelli che ne trattono, et del quale noi parliamo al presente, è per elezzione. [165] Et però disse il Dante: Onde poniam che di necessitate sorga ogni amor che dentro a noi s'accende, di ritenerlo è in noi la potestate. /c. 619v/ [166] Ma perché forse non vorrete credere all'autorità, eccovi la ragione, et lasciando quel vulgatissimo argumento, ma veramente ottimo, che se amore fosse per destino non sarebbe opera degna di biasimo né di lode, vi dico che se amore fosse in tal modo non sarebbe opera humana, et per conseguenza molto meno nostra, il che quanto a dir sia grandissimo inconveniente da ciascuno si può conoscere. [167] Il fin poi d'amore non terrò mai che sia altro che l'unione dell'amante con l'amata, fondandomi nelle diffinizioni che da tutti quegli che ne scrivono si gli danno sempre, nelle quali troverete essere stata posta l'unione. [168] Alcuni hanno detto che egli è desio di generare il bello nella cosa bella, il che non si può fare senza l'unione. Altri che egli è desiderio di possedere con unione il bello della cosa amata. Et se pure lo vorrete ridurre (come penso) all'animo, da molti è stato detto che egli è disio di possedere con perfetta unione l'animo bello della cosa amata. Et per fin la descrizzione del Burchiello, che disse "Amore è un trastullo", con quel che segue, ricerca questa benedetta et santa unione, et però meritamente sarà il suo fine. [169] Et se altro gliene volessimo assegnare, non crederei mai che fosse quello che gli date voi di condurci a Dio, ma più tosto di renderci miserissimi et precipitarci ne' più oscuri abissi fin al centro della terra. Quel fine, dunque, che ho detto sarà il premio che a tale operazion s'apetta, acciò che non resti fatica alcuna senza remunerazione. Né è stato dal compagno vostro provato altrimenti, come vi date ad intendere, et per hora altro non dico -. [170] CAVALIERE FERRAIUOLO: - L'esperienza d'amore in me è tale che, se bene nell'altre azzioni humane concedo l'elezzione, in questa non di meno dubito grandemente che non operi il destino, poiché io pur vedo che non posso, quando anco voglia, lasciar d'amare, né posso vedere in che modo, fra tante et così rare virtù delle quali sono ornate le donne che da' Cortigiani Ferraiuoli sono amate, habbia luogo il vizio dell'ingratitudine, radice di tutti gli altri: per il che fu detto da Tullio che in essa sono tutti i mali. Laonde mi ingegnerò di rispondere anchora a' vostri argomenti. /c. 620r/ [171] Se prima v'harò detto che quella vulgatissima sentenza non s'intende in casi d'amore, et è stata da alcuni interpretata con dire che il saggio signoreggiarà alle stelle, sapendosi per lui gli effetti che elle producono, i lor movimenti et aspetti, cogniunzioni et opposizioni et altre cose simili, sì come anco quell'altra, che ciascuno fabrichi a se stesso la sua fortuna, s'intende dell'operazioni che pendono dal nostro libero volere, nelle quali, se male si riceve, deviamo incolparne noi stessi, et non la fortuna come fanno molti. [172] La vostra distinzion, poi, del principio d'amore detto da voi compiacimento et dell'amore assoluto chiamato desiderio (sia sempre detto con quella maggior riverenza di quei dottissimi filosofi che la mettono), non mi fornisce d'acquetare, non potendosi da me vedere in che modo (se quel compiacimento dal qual nasce amore desiderio è per destino) non sia similmente per destino quel che da lui ha principio, tenendo le cose composte della natura delle loro cagioni. [173] Ma mi dite: guarda che se amore è per destino non sarà degno di biasimo né di lode, volendo (per quel che io credo) inferire che per destino et naturalmente sia una cosa istessa. Et io vi rispondo che in quel modo è degno di lode, ché meritono d'esser lodate le cose di pregio donateci dalla natura, come sarebbe a dire la bellezza corporale, la destrezza et vivacità dell'ingegno, la gagliardia et simili. [174] Quando poi mi dite: ei non si potrà dire opera humana, in un certo modo vel concedo, purché la chiamiate divina, operandosi da Idio in noi (restringendomi però sempre all'amore honesto) che altro non è che desiderio di possedere con perfetta unione l'animo bello della cosa amata. Ma se si considera che per noi si opera (benché serviamo in ciò come instrumento), anchor si possa dire humana, sì come tutto quello che fanno le intelligenze inferiori, se bene /c. 620v/ hanno l'influenza et virtù d'operare dalla prima, si dice opera loro. [175] Finalmente volete pur che l'unione dell'amante con l'amata sia il fine di amore, et così per conseguirlo sia di necessità l'essere riamato. Ma vedendo io che quando l'amante fusse riamato non conseguirebbe un tal fine perfettamente per molte cagioni, et che così la natura havrebbe messo in lui quel desiderio invano, et gli havria proposto avanti un fine che conseguir non si può in tutto, se già non volessimo che gli animi che s'amano (lasciando i loro corpi) si congiugnessero inseparabilmente insieme, il che non so come anco far si possa, mi fa credere che più vero sia il fine da me assegnatogli, tanto maggiormente perché nella diffinizion d'amore non era di necessità mettere il fine, ma solo le cose essenziali di essa. [176] A quel fine così reo che troppo risolutamente gli date non vo rispondervi cosa alcuna, per non essere nostra quistione et di già a bastanza poco fa trattata. Et se non mi mostrate altro terrò che egli habbia il suo fine, se ben non ci fusse l'essere riamato, et che non sia in verun modo operazion superflua o vana -. [177] CAVALIERE STRANIERO: - Vi trovo così duro nell'oppinione vostra che potrò dir di voi al mio Principe come Phryne Atteniese di Zenocrate: che scusandosi se non l'havea condotto alle sue voglie, per non pagare il prezzo pattuito, respose che s'era obligata a convertire un huomo et non una statua. So non di meno che anchor dalle durissime statue di pietra con lo scarpello qualche cosa si leva. [178] Et però rispondendo, vi dico che il vostro non potere fare di non amare da altro non procede che dall'habito da voi fatto nell'amore, et ben si può dire insieme con l'Ariosto: Natura inclina al male et viene a farsi l'habito poi difficile a mutarsi. [179] Laonde il Petrarca disse: Né natura può star contra il costume; et altrove: Ond'è dal corso suo quasi smarrita nostra natura, vinta dal costume. /c. 621r/ [180] Ma lo potrete fare, se ben con qualche difficultà, ogni volta che conoscerete che, essendo le donne vostre ingrate, sono indegne dell'amore che portate loro. Levatevi dunque dagli occhi dell'intelletto l'oscuro velo che lo circonda, ché allhora non le terrete per così virtuose come le celebrate. [181] Et perché più facilmente lo potiate fare vengo di nuovo a confermarvi che amore è in noi per elezzion et non per destino, acciò che apertamente veggiate quanto esse sieno incorse1 nel bruttissimo vizio dell'ingratitudine non riamando. Et prima vi dico che quella famosa sentenza con quel proverbio vulgato si deono intendere universalmente di tutte le operazioni humane, tra le quali senza alcun dubbio è l'amore: chiamolo operazione humana per che dal suo libero volere procede, et non come operata solamente in se stesso. [182] Et qui, contra mia voglia, sarò sforzzato a valermi dell'autorità et ragioni che lo lodano, per constringervi almeno a confessare il vero in questa parte della quale ragioniamo. Le quali sono queste: dice Aristotile nelle sue Morali che l'amore è operazione che da virtù, o da habito congiunto con virtù nasce nell'huomo, et è cosa chiarissima che tutte l'operazioni nostre virtuose pendono dal nostro libero volere, sì che vedete in esso non haverci luogo il destino, che altro non è che quello che procede naturalmente dallo ordine delle cause. La distinzione poi di que' gravissimi filosofi dell'amore compiacimento et dell'amore desiderio è perfettissima, et le cose (come dite voi) tengono della natura delle loro cagioni, ma di quelle che entrano nella natura del composto non già de' principii d'origine, come è questo. [183] Finalmente di nuovo vi replico che l'union dell'amante con la cosa amata, et così l'essere riamato è il vero fin d'amore, et che quando non v'è questa corrispondenza amore si può dir morto, il qual fine, benché così perfettamente non si possa conseguire, s'ottiene tutta via in quel modo che comporta la natura della cosa. /c. 621v/ Et questo basta per che non si possa dire che ci sia dato invano dalla natura il desiderio di conseguirlo. [184] Et s'ha da considerare che questo amore (per essere humano) ha qualche imperfezzione, o, per dir meglio, secondo l'oppinion mia, l'ha tutte, et però non serà da maravigliarsi se così perfettamente non può conseguire il fin suo, il quale non di meno deverà essere espresso nella sua diffinizione, perché quella è perfettissima diffinizione che si dà per tutte le cause della cosa diffinita, tra le quali è anco il fine -. [185] Qui il PRINCIPE DE' FERRAIUOLI, interrompendo il ragionamento, dirà le infrascritte parole: - Hor qual frutto caverassi egli, honorato Ambasciatore, dell'opera del vostro Principe, se niuna delle parti non fa segno alcuno di confessarsi vinta et perdente? - [186] Risposta dello AMBASCIATORE: - A tutto quello, nobilissimo Principe, che avenir potea ha il Signor mio molto bene pensato et ottimamente proveduto, perciò che egli ha mandati con esso me quattro Cavalieri, li quali, non determinandosi la quistione per via di parole et di ragioni, debbano con l'arme in mano mantenere contra i Cortigiani Ferraiuoli amendue le sopradette querele co' medesimi patti et con le medesime condizioni già dette ogni volta che l'una, o l'altra parte rimanga perdente; et sono qui presti et pronti per fare il comandamento del loro Signore et offeriscono alli Cortigiani et Cavalieri vostri la battaglia, lasciando et a voi et a loro l'eleggere come et con quella sorte d'arme si debba combattere -. [187] [Li quattro Cavalieri furono il Signor Ascanio Borghesi, il Signor Cavaliere Brogioni, il Signor Scipione Turamini et il Signor Fantozzo. Padrino il Signor Alessandro Fantoni] /c. 622r/ [188] Il PRINCIPE DE' FERRAIUOLI accetta la battaglia: - Non potevamo in verità udir cosa che più ci piacesse che quella che hora detta ne havete, poiché non passerà (sì come hora speriamo) questo giorno senza vedersi chiaramente da quale de' due lati sia la ragione e 'l vero. Accettiamo dunque, per fuggire lunghezza, tutto quello che da voi proposto ci viene, quantunque volentieri l'elezzion dell'arme donata v'havessimo. [189] Combatteranno dunque contra i vostri quattro Cavalieri i nostri Cortigiani [Elesse il Signor Emilio Azzoni Cavaliere di Santo Stefano, il Signor Conte Carlo d'Elci Cavaliere di Santo Stefano, il Signor Pompilio Foresi Cavaliere di Santo Stefano et il Signor Giulio Spannocchi. Padrino fu il Signor Flavio Figliucci], et combatteranno a cavallo et l'arme loro saranno la zagaglia, la lancia et lo stocco, con quei colpi per ciascuna sorte delle predette arme et con quella maniera di combattere, cioè o a solo a solo, o accompagnati, che più piacerà alli padrini dell'una et dell'altra parte -. [190] Risposta dello AMBASCIATORE: - Non meno saviamente che cortesemente parlate, valoroso Principe, et io concorrendo nel medesimo parere con esso voi, et consentendo a nome del Principe mio Signore et di questi suoi Cavalieri a ciò che voi dite, giudico che senza più indugiare sia bene che l'una et l'altra parte si vada a mettere in ordine et ad armare, per potere tanto più tosto sodisfare al molto desiderio che mi pare che habbiano già questi cavalieri tutti di mostrare l'ardire e 'l valore loro -. [191] IL PRINCIPE DE' FERRAIUOLI: - Ottimamente parlato havete: vadano dunque et arminsi con quella maggiore prestezza che potranno -. /c. 622v/ [192] Mentre che i Cavalieri si metteranno in ordine per combattere, comparirà nella sala il sopradetto carro di Giove et l'AURIGA canterà le stanze infrascritte. [L'auriga, cioè Ganimede, fu il Signor Girolamo Ghini] [193] - Donne, dentro al cui bel corporeo velo chiaro d'ogni virtù pregio si vede, da che spento d'honor fu in terra il zelo degli alti dei nessun v'ha mosso il piede: ma, hor ch'aspira il vostro cuore al cielo, degno drappel di quelli al mondo riede per veder voi che dee novelle sete et saggi et forti eroi ne producete. [194] Son questi habitator dell'alte sfere che benigni guardando il basso mondo vider di nuova Corte l'opre altere, ch'all'honesto havean giunto anco il giocondo: tal che tosto di trarla a le sue schiere nessun volea mostrarsi altrui secondo, et nacque al fin tra quelli aspra contesa di chi di lor n'havesse ogni hor difesa. [195] Diceva Apollo: "De' soavi canti sol io di tali spirti oggi son degno". Vener movea: "Sì vaghi et fidi amanti non deono esser mai fuor del mio bel regno". "Oltre a me de' pensier lor gravi et santi" s'udia Minerva dire "ogni altro è indegno". Mercurio, ch'eran suoi dal dir con arte. "Per l'armi lor son miei" gridava Marte. [196] Con ragion tali senza indugio andaro di Giove innanti al grave et lieto volto, per che dal suo giudicio santo et caro fosse ogni dubbio lor tosto disciolto. Onde egli udito il caso nuovo et raro che 'n tanta lite il cielo haveva involto, di tutti questi dei a la presenza di sua voce diè lor cotal sentenza: [197] "Di voi ciascun sotto sua fida scorta degno è che 'l bello stuol guidi et ripari: ma intorno a l'Arbia amata schiera è sorta di donne a cui non vedi, o Febo, pari, ch'a quel d'alme virtù cagioni apporta nel volger de' bei lumi ardenti et chiari. Se son dunque quell'alme sol pregiate Per sì gran donne, a lor sol fien sacrate". [198] Con tai parole a la quistion rispose il sommo padre ch'ogni cosa muove, et di sua mensa a me ministro impose che oggi il carro suo guidi in forme nuove. Di questi ciascun pronto si dispose d'approvar lieto il gran parer di Giove, et ch'a voi tanto honor da lor si cede co' volti ne faran, co' detti fede -. /c. 623r/ Dopo questo le DEITA' che saranno nel carro canteranno in musica questi madrigali: [199] - Altro del venir nostro a dir non resta, donne, dove siede in un l'honesto e 'l bello, che ciascun mostri presta l'alma in confermar tosto quanto in verace dir n'è stato esposto da l'auriga novello, sì che parlando sol co' detti suoi, lieti il bramato honor cediamo a voi. [200] Dunque la bella impresa oggi prendete del dar favore a così nobili alme, ché sol voi state sete degne di tanto honore, lo qual là dove nasce il giorno et muore, cinto d'eterne palme, chiaro renduto fia per simil Corte, che spegner nol potrà tempo né morte. [201] Di vera gioia il vostro cuore intanto honesti et chiari segni scopra al mondo con dolce et lieto canto, con balli in guisa tale che renda oggi il natale del giorno sacro a voi almo et giocondo, che nel volger degli anni a vostra gloria di quel s'innoverà l'alta memoria -. [202] [Le deità furono: il Signor Cavaliere Fra' Elio Bolgherini, il Signor Attilio Marsili, il Signor Curzio Guglielmi e] [203] Fatte et dette queste cose, l'Auriga guiderà il carro fuori della sala, et dopo questo, venuto che sarà il Maestro di Campo, compariranno i Cavalieri Mantenitori et dopo loro verranno i Cavalieri Stranieri, et come prima i padrini dell'una et dell'altra parte havranno ordenato il modo del combattere et i colpi, si darà principio alla battaglia. [204] Nel fine poi, combattendo tutti insieme alla fola, si vedrà in un subito venire dal cielo la dea Themis circondata da una nuvila, et fermandosi in aere nel capo della sala incontro a i cavalieri et alle gentildonne, dirà ad alta voce questi versi, nei quali si decide l'una et l'altra querela: /c. 623v/ [205] Versi della DEA THEMIS. [Fu il signor Piermaria Luti] - Fermate cavalieri. Hor quale inganno, degno Signor d'altiera et rara Corte, et tu gran messaggier di chiaro Prence, a rimetter vi spigne alla fallace pruova de l'arme alte querele et gravi? Di più certo giudicio et di più vera sentenza è di mestieri a tanta lite. [206] Giove, che il mondo e 'l ciel regge et governa, mosso a pietà del vostro andare errando, et l'uno et l'altro co' seguaci suoi, quasi in oscuro et cieco laberinto, manda me, dea che 'l giusto e 'l dritto intendo, a terminar la doppia tenzon vostra: onde a le mie parole siate intenti. [207] La donna in cui non men benigno il cuore che lieto il viso si dimostra è degna cui riverisca ogni gentile spirto, come scala del cielo et vera imago del bene et de la luce eterna et viva di cui godon là su l'alme beate. Et ben felice è chi lei fermo obietto fa de' suoi sensi et de la mente insieme. [208] Ma quella c'ha il volere empio et crudele, difforme al dolce, angelico sembiante, fuggir si dee non men che 'l fiore, o l'esca cui serpe sotto, o velen si nasconda. Et chi di donna tal servo diviene mostra ben c'hebbe poco amico il cielo, /c. 624r/ anzi se stesso, et che l'honor suo vero non vede o stima, se anchor segue et ama chi lui pur fugge et odia. [209] Et se ad altrui ha già dato ella il cuore, et quindi nasce che 'l novello amator disdegna et sprezza, è grave fallo il procurar di sciorre sì santo nodo, et lo sperar che due in un tempo una donna ami et gradisca è gran follia, onde di biasmo eterno il cavalier, ch'a lei pur serve, è degno. [210] Tal del gran Giove et nostra è la sentenza: dunque ciascun di voi le proprie leggi, secondo essa et l'usanze emendi et muti. Et questi cavalier, c'hanno egualmente d'ardire et di valor sì chiara pruova dimostra, cari habbiate, et d'alti honori fate che sien per opra vostra ornati -. [211] Il PRINCIPE DE' FERRAIUOLI, udita la sentenza, volgendosi all'Ambasciatore dirà queste parole: - Benché noi, savio et discreto Ambasciatore, non fossimo insieme convenuti d'ubidire ad altra sentenza che a quella che sopra le differenze nostre ne desse il valore de' nostri combattenti, non di meno empia cosa sarebbe il non sottoporsi interamente alla determinazione di giudice veracissimo et immortale. [212] Laonde io, sì come, seguendo questo divino giudicio, confermo per eterna et inviolabile quella legge nostra per la quale si comanda a tutti i Cortigiani nostri c'habbiano nelle azzioni loro principale risguardo d'honorare le nobili et /c. 624v/ virtuose donne, così comando loro severamente che non seguano più secondo l'antica loro usanza d'amare et di servire a donna che sprezzi l'amore et la servitù loro -. [213] Parole dello AMBASCIATORE: - Et io, Principe degnissimo et nobilissimo, prometto infallibilmente che il Principe mio Signore, ubidendo a questa non meno giusta che inaspettata sentenza, comanderà per legge perpetua alli suoi Cavalieri che amino, honorino et riveriscano le donne nobili et virtuose, mantenendo però l'ottima usanza loro in questa parte, cioè di far poca, o niuna stima di quelle donne c'hanno piacevole viso et crudo cuore, et di non servire ad alcuna che disprezzi la servitù loro -.