Banca Dati "Nuovo Rinascimento"





TOE MERCURIO

Gli equilibristi









Le voci bianche




Il suo viso era un chiaro di luna…
Il suo ventre una trappola…
Sarà certo complicato per me narrare la storia della signora Vandenberg poiché la signora Vandenberg è nata or ora dalla mia penna e nella mia mente solo qualche attimo fa.
Le sue sembianze?
Oh! Si tratta di una signora molto attraente.
Per farmi coraggio e riempire la prima pagina di questo sconcertante racconto la descriverò.
Sconcertante racconto?
Ma sì… sì. Non posso naturalmente anticipare nulla, ma quel che ho pensato è certo tremendo.
Dirò di più: tremendamente affascinante.
Come mai mi vengono in mente certe storie?
E perché le scrivo?
Già, già. Come mai e perché?

Ella ha i capelli d'oro e le iridi di cristallo.
Labbra ben disegnate e larghe nari. Il collo di un cigno e ampie spalle.
Un corpo statuario.
La sua bellezza è classica conturbante e…
E qui mi fermo. Ché, se andassi oltre, rischierei la sindrome di Stendhal.

Cecilia Vandenberg aveva fondato un coro e viveva di musica e sognava la morte.
Ed era quella sua idea della morte un dolce canto di voci bianche, un "lacrimosa" tristissimo che, nato dal sublime desiderio di trasformare il suo dolore in bellezza., l'aveva presto impegnata in una spasmodica ricerca di ugole cristalline e di purissime note.
Non solo. Nel contempo, in un'affannosa sperimentazione dei modi possibili con cui giungere a realizzare il suo progetto estetico.
E poiché né la creazione di uno spartito speciale, né l'ideazione d'un canto particolare avrebbero mai potuto sgorgare nella sua anima senza un "a priori" emozionale, reale, vitale da poter trasfigurare in arte, ecco che subito passerò a isolare alcuni momenti significativi del passato dell'incantevole creatura.
Dunque: in seguito a quali eventi la splendida donna decise di sviluppare l'equazione Morte = Bellezza del dolore?

Cecilia Vandenberg si innamorò di Aalto.
In un pomeriggio prezioso che lo scoperse da solo in una serra di fiori.
Intento a leggere ad alta voce prima del suicidio di Anna Karenina, poi della morte a Venezia di von Aschenbach…
Si innamorò di Aalto che a sedici anni aveva preso a spiare per caso, per giocare all'investigatrice privata e fare rapporto ogni sera a vari immaginati fantasmi: il suo datore di lavoro. i genitori, la sua ragazza.
E quel rapporto, in sei mesi di segreti e ben riusciti appostamenti, aveva prodotto quasi ogni giorno lo stesso sorprendente risultato.
Aalto badava ai fiori ogni volta per non più di un quarto d'ora. Regolarmente apriva, poi invece, un libro e cominciava a recitarne le pagine o alternativamente sistemava un vecchio spartito sulle rose e prendeva a cantare.
Infine piangeva.
Ah, quella sua voce!
Sia che lacrimasse o leggesse o svolazzasse - leggiadra e dolorante, incantevole e tragica - dal foglio delle note insù nell'aria profumata, quella sua voce la inebriava, la commuoveva, la struggeva.
Recitava sempre morte e dolore e tristezza, eppure tutto quel che lei ascoltando recepiva era bellezza, null'altro che bellezza…
Dieci anni di lezioni di pianoforte e canto col maestro Kaltz. Dieci anni tormentosi e tormentati da ambigue parole e strane fugaci carezze.
Il maestro Kaltz: una piccola rapace donna di mezz'età, con gli occhi cupi ed il profilo d'aquila, un sorrisetto da iena e il busto diritto, amorfo, sempre stretto in sontuose vestaglie di seta.
Il solfeggio col maestro Kaltz e le sue mani di tanto in tanto a sfiorarle le labbra e la gola.
Per correggere l'emissione di voce… Certo, per correggere l'emissione di voce.
Gli esercizi alla tastiera e ancora quelle mani fredde e nervose sulle sue grandi spalle, sulle sue morbide mani.
"No, non così, Cecilia cara… Cosi cara, cara, bella Cecilia. Beethoven? T'avesse conosciuta avrebbe certo composto tutte le sue splendide sonate per te. E Schumann? Non sarebbe forse subito impazzito di fronte allo splendore delle tue fattezze?"

A pochi giorni dalla fine delle inquietanti ed ossessionanti lezioni il "fatale" colloquio col maestro.
"C'è forse un giovanotto che ti interessa, piccola mia? Adesso che canti e suoni cosi bene potresti invitarlo a casa tua e magari sedurlo con l'irresistibile fascino della tua musica."
"No, signora Kaltz, non c'è nessuno."
"Bene. Anzi benissimo. Come non detto."
"Veramente…"
"Sì? Su, su, parla. Niente timidezze con me. Io so comprenderti, lo sai che so capirti, no?"
"Credo d'essermi innamorata di Aalto… Io amo Aalto. Dovrebbe vederlo! Legge e canta ai fiori."
"No, non può esser vero…"
"Eccome se lo è! Adesso le confiderò il mio grande segreto; ma mi raccomando, acqua in bocca! Non lo dica ai miei."
"Figuriamoci! Su, su, parla!"
"Io vorrei… ecco, vorrei che lui mi penetrasse."
Il maestro Kaltz impallidì.
"Mio Dio! Cosa pensi, che dici… È assurdo!"
Il maestro Kaltz si rannuvolò.
"E dov'è, com'è che lo hai conosciuto?"

Fu terribile.
Quando Cecilia Vandenberg tornò a spiare Aalto trovò da lui il maestro Kaltz.
Una piccola rapace donna di mezz'età inferocita dalla gelosia che l'aveva pugnalato e lo stava evirando…
Avresti voluto che t'amasse! Che in te ricolmasse un'alba e poi un tramonto.
E notti di piovosa musica o di stelle.
E giorni di vento e di tempesta da placare nell'etereo abbraccio d'un sogno infine realizzato: la tua alcova fuor d'ogni dove, irradiata dalle sue mille e mille, pallide, lunari, tenerezze del cuore.
Avresti voluto che il fascino della sua dissoluzione, del suo tormentarsi di lettore e cantore solitario, della sua distanza poetica e forse etica dalla vita più comune, ti irrorasse, in un'estasi dei sensi, della bellezza di morir con lui nel sortilegio della sua misteriosa sofferenza.
In essa penetrare, lasciandoti penetrare.
Per esserne posseduta, ma ancor più per tentare di possederne lo spirito.
Attraverso un'unica, a tuo giudizio, possibile vera strada d'attuazione concreta di quell'astratto: l'amor carnale metaforico. Avresti voluto tutto questo.
Ma invece lui è morto.
Aalto se n'è andato.
Senza mai neppure conoscerti, senza mai penetrarti, evirato.

Aalto. Il maestro Kaltz.
Forse neanche mai realmente esistiti.
Forse soltanto il sogno-incubo più decadente e ricorrente nelle agitate notti di madame Vandenberg…
0 nelle mie?

A quarant'anni Cecilia aveva fondato un coro e viveva di musica e sognava la morte.
Ed era quella sua idea della morte un dolce canto di voci bianche…
No, no, no!
I ragazzi del coro Vandenberg non riuscivano mai a cantare il "lacrimosa" che lei aveva studiatamente e lungamente composto così come avrebbe voluto.
Nessuno che sapesse nemmeno lontanamente avvicinarsi al timbro delicatamente mesto, al tono profondamente sublime della voce di Aalto!
Aveva loro imposto di leggere Mann e Tolstoj.
Li aveva più volte invitati a piangere del dolore dell'arte. Aveva effettuato tutte le sue prove di direzione del loro canto in una serra di fiori.
E ancora prima?
Quanta cura, quanta amorevole pazienza nel selezionarli, nell'interrogarli, nell'indagarne sentimenti e pensieri!
Li aveva scelti tutti di cuore tenero, con lo sguardo limpido, i gesti pudichi e le parole gentili.
Aveva passato al setaccio tutte le loro giovani storie come un nobile cavaliere a epurare il suo campo da ogni possibile infiltrazione sospetta.
Il coro Vandenberg. stando ai suoi progetti, sarebbe dovuto risultare purissima casta, angelica schiera di anime, incarnazione simbolica e plurale dell'interiore innocenza di Aalto…

Il suo viso era un chiaro di luna…
Quei ragazzi l'avevano sempre seguita con devozione.
Ammirati e ammaliati dalla sua venustà.
E, alla lunga, sconfortati e sconvolti dal pensiero di non riuscire mai ad accontentarla.
Willem, Karl, Christian, Lucas, Michail, Hans, Pieter, Jan…
Tutti bravissimi candidi ingenui e timidi quattordicenni di buona famiglia.

Il suo ventre una trappola…
Opportunamente e quasi occultamente persuasi, tutti avevano preso pian piano ad ardere d'uno stesso insopprimibile desiderio: quello d'entrare dolcemente in lei come teneri bruchi in un bozzolo.
Eh sì! Per tentare di farli cantare come lui avrebbe cantato, Cecilia Vandenberg aveva deciso in ultimo di attrarre uno per uno quei fanciulli nel suo boudoir.
L'atto finale, già già, dell'affannosa sperimentazione dei modi possibili con cui giungere a realizzare il suo progetto estetico.
Willem, Karl, Christian, Lucas, Michail, Hans, Pieter, Jan…
Tanto li stremò d'amore che nessuno poté mai venir fuori dalla sua stretta senza farsi…

Castrare. Le voci bianche del coro Vandenberg cantarono per una sola volta in pubblico, in un indimenticabile mai bissato concerto, uno spartito stellato e straziante in maniera cosmica e divina la sera del due novembre 19.. a Vaasa.
Nell'auditorium dorato sorto per volontà del biondissimo direttore sulle rovine d'una vecchia serra.
Il maestro Kaltz, segretamente accorso a quella prima, curvo ormai di vecchiaia e torvo nello sguardo a causa dell'ombroso ricordo del suo impunito delitto, incapace di sostenere la lieve e malinconica bellezza di quell'inno solenne di amore e di morte; di nuovo annebbiato da una sottilissima invidia e da una brutale gelosia per aver, in un attimo folgorante, compreso ogni segreto risvolto del "metodo Vandenberg"; squassato dalla certezza, infine, d'esser stato spiato tanti anni addietro mentre uccideva e proprio dalla ragazzina che più di tutte adorava, lì ristette stroncato da una specie di infarto.
Dopo l'ultima sconcertante tremante accorata nota della soffertissima equazione ceciliana.

E poiché né la creazione di una storia speciale, né l'ideazione d'una forma particolare di racconto, avrebbero mai potuto sgorgare nella mia anima senza un "a priori"…
Il suo viso, il suo ventre, l'idea della morte.
Il suo progetto estetico, la sua bellezza, la sua follia.
Dio mio, che magnifica visione!
Mio Dio, che meraviglia…